L’impatto del Fondo Sociale Europeo.

Prospettive e incognite per il mercato del lavoro in Italia

 Lo shock economico generato dalla diffusione del virus Covid-19 ha determinato l’adozione di numerosi interventi governativi in tutti i paesi che ne sono stati colpiti. In Europa, in particolare, tanto l’Unione quanto gli Stati membri si sono trovati a dover fronteggiare una profonda crisi nel mercato del lavoro, area economica che appariva frammentata ed esposta a diverse vulnerabilità già prima dell’emergenza pandemica.

Data la preesistente ipertrofia di questo comparto per alcuni Stati, infatti, lo scoppio della crisi sanitaria ha aggravato uno scenario già avverso, esponendo l’Unione al rischio di una disoccupazione dilagante. I governi si sono quindi impegnati ad evitare il collasso del mercato del lavoro attraverso un’azione coordinata, volta a mantenere vivo lo stimolo dell’offerta di occupazione e incentrata sull’integrazione delle misure nazionali con quelle europee. Tra queste ultime emerge il Fondo Sociale Europeo (FSE).

 

L’assetto del FSE

Il Fondo Sociale Europeo affonda le sue radici nel Trattato di Roma del 1957 e ha storicamente rappresentato il principale mezzo dell’UE per incentivare gli investimenti nel capitale umano e prevenire la disoccupazione, favorendo al contempo la coesione economica e sociale, considerata un complemento essenziale al funzionamento del mercato interno e dell’unione economica e monetaria.

Esso si inquadra tra i fondi strutturali europei, che costituiscono lo strumento cardine di investimento dell’Unione, se si esclude il programma straordinario Next Generation EU avviato l’anno scorso. Attraverso queste erogazioni, l’UE sovvenziona una parte della spesa pubblica delle aree regionali per favorire l’occupazione e quindi la crescita, nonché la cooperazione transnazionale e interregionale. I destinatari di queste risorse sono persone fisiche, organizzazioni o aziende. L’assegnazione dei fondi viene decisa da accordi bilaterali di partenariato tra i singoli Stati membri e la Commissione Europea, riconducibili alle strategie nazionali di sviluppo e disegnati per garantire una distribuzione perequativa degli aiuti comunitari. Gli accordi rientrano generalmente nel Quadro finanziario pluriennale (QFP) dell’Unione e in quanto tali hanno validità settennale.

Recentemente la mobilitazione da parte della Commissione di fondi aggiuntivi, volti anche a contrastare le conseguenze della pandemia, ha potenziato le disponibilità del fondo, che dal 1° luglio 2021 è stato quindi ri-denominato FSE+.

Il recente impatto del FSE in Italia

Il mercato del lavoro italiano ha vissuto un’alternanza di fasi recessive in corrispondenza delle molteplici crisi, congiunturali e strutturali, che hanno frenato la crescita economica del paese sin dal 2000, e in particolar modo dopo la crisi finanziaria globale, ripercossasi in modo più severo sull’economia nazionale dal 2010.

Per farvi fronte, tra il 2014 e il 2020, nell’ambito del penultimo QFP, il FSE ha previsto una dotazione di 19 miliardi di euro (a fronte dei 74 stanziati complessivamente per l’intera Unione), finanziata per circa il 60% dall’UE (e dall’Italia per la restante parte). I fondi sono stati spesi per diverse finalità, tra cui (i) l’istruzione e la lotta all’abbandono scolastico, (ii) l’inclusione sociale – in cui rientrano i progetti per sostenere l’uscita di soggetti svantaggiati da condizioni lavorative a bassa retribuzione – (iii) la mobilità professionale dei lavoratori e (iv) l’occupazione in senso più stretto, sostenendo la domanda di lavoro nelle imprese per favorire l’assunzione di personale di qualsiasi età e condizione sociale. Con riferimento a quest’ultimo obiettivo i fondi sono stati erogati direttamente alle aziende, con un’elevata concentrazione di sovvenzioni verso le PMI in relazione all’importante ruolo che esse ricoprono tra gli employer italiani.

A completamento del programma, la Commissione ha poi reso noto l’esito della valutazione – condotta con l’ausilio di partner esterni – del FSE rispetto agli obiettivi di inclusione sociale, contrasto della povertà e della discriminazione. I risultati evidenziano l’importanza del FSE per il sostegno all’occupazione, all’istruzione e alla formazione, e indirettamente anche alla riduzione della povertà e delle disuguaglianze. Per l’Italia è stata infatti registrata una diminuzione della quota di popolazione a rischio di povertà ed esclusione sociale, passata dal 28% nel 2014 al 27% nel 2018. Le famiglie residenti nel meridione e nelle isole sono state individuate come maggiori beneficiari di questa diminuzione. La valutazione ha inoltre rilevato un aumento del saggio di occupazione (nella fascia di età 20-64 anni) di mezzo punto percentuale in un solo anno: nel 2019 il tasso ha raggiunto il 63,5%, valore superiore ai livelli registrati negli anni immediatamente precedenti la crisi finanziaria globale.

Non è tuttavia stato conseguito l’obiettivo finale del FSE, come dimostrato altresì dal rapporto nazionale “Il mercato del lavoro 2020”. L’Italia, secondo le previsioni originarie del 2014, avrebbe dovuto raggiungere un tasso di occupazione del 67% entro il 2020, quando questo è invece stato pari al 62,6%, in discesa di un punto percentuale dall’anno precedente. Tale diminuzione ha arrestato il trend di crescita osservato negli anni antecedenti e attesta il grave impatto della crisi pandemica, che ha tra l’altro provocato una forte contrazione dei consumi (-11% su base annua) e portato al maggior crollo del PIL (-9% su base annua) dalla seconda guerra mondiale. Verosimilmente però, l’obiettivo non sarebbe stato centrato nemmeno in condizioni economiche più distese, come quelle occorse fino al 2019.

Anche in termini di gender equality la valutazione della Commissione ha messo in luce un ampio margine di miglioramento per il Paese, documentando la persistenza di un significativo squilibrio di genere che vede occupata solo una donna su due, mentre per gli uomini la stessa quota è pari ai tre quarti.

Cosa aspettarsi dal FSE+

Il regolamento che istituisce il FSE+ si colloca in seno al QFP 2021-2027 e mira in gran parte a perseguire gli stessi obiettivi del FSE costituito nella programmazione settennale precedente. La necessità di investire nel capitale umano rimane pertanto un caposaldo, sebbene col FSE+ la Commissione abbia volto lo sguardo anche alle sfavorevoli dinamiche socioeconomiche innescate dalla pandemia negli ultimi due anni. Pertanto la quota comunitaria complessiva in dotazione al fondo è stata innalzata a 99 miliardi di euro, dei quali circa 15 sono stati assegnati all’Italia, a cui dovrà sommarsi la quota a carico del paese.

La spesa di queste risorse ambisce a salvaguardare i posti di lavoro esistenti (ovvero a reintegrare nel mercato chi dovesse perdere il proprio posto), e a crearne di nuovi attraverso uno spettro più ampio di misure, in cui rientrano (i) il dialogo sociale delle imprese con gli stakeholders per realizzare misure di welfaresocioeconomico, (ii) il sostegno dell’innovazione sociale, incentrata su progetti di tipo digital, e (iii) la creazione di posti di lavoro ecologici che apportino nuove competenze utili alla transizione verde.

Gli interventi del FSE+ stabiliscono inoltre alcune nuove priorità rispetto al passato, identificando la riqualificazione professionale come il necessario risultato di un più efficace incontro tra la domanda e l’offerta di lavoro, e soprattutto accentuando l’attenzione sull’occupazione delle donne e dei giovani, i soggetti più severamente colpiti dalla pandemia.

In virtù di questo orientamento, il 12,5% della dotazione complessiva del FSE+ sarà impiegato per supportare gli Stati membri che presentano una disoccupazione giovanile superiore alla media dell’UE, misurata attraverso il numero dei cd. NEET (Not in Education, Employment or Training), ossia giovani in età compresa tra i 15 e i 29 anni, che non risultano né occupati, né inseriti in un percorso di formazione o istruzione. L’Italia rientrerà tra i beneficiari, giacché presenta il tasso di incidenza dei NEET più alto tra i paesi dell’Unione, con un valore del 23%, significativamente superiore a quello medio nell’UE, pari a circa il 14%.

In conclusione, il mercato del lavoro italiano continua ad essere contrassegnato da criticità endemiche, che la crisi da Covid-19 ha soltanto contribuito ad inasprire. Pertanto il supporto europeo attraverso i fondi strutturali appare imprescindibile per complementare gli onerosi interventi economici varati nell’ultimo biennio dal governo.

Poiché l’impatto del FSE tra il 2014 e il 2020 – per quanto positivo – non è stato del tutto soddisfacente, il FSE+ è stato disegnato per utilizzare risorse aggiuntive e rispondere alle nuove sfide nel mercato del lavoro entro il 2027. Vincerle richiederà un impiego più fruttuoso dei fondi verso alcuni obiettivi già delineati in passato, ma anche l’adozione di una nuova prospettiva di impiego dei finanziamenti, volta a istituire sistemi di sicurezza sociale innovativi e integrati con i piani di sviluppo digitale e verde e tali da tutelare, in particolare, i segmenti più vulnerabili della popolazione, quali i disoccupati di lunga durata, le donne e i giovani.

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