Passare da una gestione emergenziale dell’accoglienza a un sistema strutturato, stabile e sostenibile, in grado da un lato di garantire inclusione vera e dignitosa alle persone, dall’altro di rispondere ai problemi della cronica mancanza di manodopera e del ben noto calo demografico. Questo il messaggio trasversale emerso dal convegno “Inclusione e cooperazione. Per un’evoluzione sistemica dell’accoglienza dei migranti in provincia di Padova”, promosso da Legacoop Veneto, che si è tenuto il 12 marzo presso la sede di Banca Etica a Padova.
Dopo i saluti istituzionali del prefetto di Padova Francesco Messina e della consigliera del Comune di Padova Etta Andreella, è intervenuto Mario Morcone, già direttore del CIR, il Consiglio italiano per i rifugiati, capo del Dipartimento per le libertà civili e l’immigrazione del ministero dell’Interno e prefetto della Regione Campania, ora assessore alla Sicurezza, Legalità e Immigrazione della Regione Campania, che ha evidenziato: «I flussi migratori sono un’opportunità di crescita e sviluppo. La mancanza di manodopera è ormai un problema cronico del nostro Paese e comporta costi esorbitanti a livello economico. In questo contesto, la migrazione potrebbe rappresentare un vantaggio per lo sviluppo e un’inversione di tendenza, ma ovviamente è necessaria una gestione migliore dei flussi. E si deve partire dalla piena tutela dei diritti umani di coloro che vivono nel nostro Paese».
«Accogliere non significa solo fornire dei servizi di base, senza investire sull’inclusione reale delle persone. Indispensabili all’accompagnamento dei lavoratori migranti nei percorsi di integrazione sociolavorativa sono il riconoscimento e la valorizzazione delle loro competenze, oltre che la loro formazione in un sistema integrato che li accompagni verso l’autonomia. Un potenziamento della rete Sai, con la qualità dei suoi servizi – ha aggiunto Morcone –, potrebbe riequilibrare un sistema che ad oggi è sproporzionato a favore dei Cas. Con la piccola accoglienza, tra l’altro, non solo si migliora la qualità dei risultati, ma anche si risponde ai problemi di spopolamento di territori e aree interne. Dovremmo in tal senso immaginare una prospettiva di accoglienza obbligatoria per i Comuni, come fosse un servizio statale».
Sui sistemi di accoglienza è intervenuta anche Maria Rosa Pavanello, vicepresidente vicario di Anci Veneto: «Il modello che funziona è senz’altro quello dei progetti Sai e non delle grandi strutture: con numeri di persone migranti accolte calibrati rispetto al territorio e alle forze in campo e il coinvolgimento di tutta la comunità nella loro integrazione. Purtroppo non è facile convincere i Comuni a provare esperienze di questo tipo: basti pensare che ad averle messe in campo in Veneto sono solo 20 amministrazioni comunali su 560». Sul tema dell’abitare come strumento di inclusione ha aggiunto: «Il diritto alla casa è un tema molto più ampio, una vera e propria sfida che coinvolge anche altre categorie sociali; naturalmente per i progetti di accoglienza la disponibilità di alloggi sarebbe fondamentale per i Comuni, altrimenti l’unica soluzione diventa per loro appoggiarsi ad enti che abbiano abitazioni di proprietà».
«Come organizzazione ci impegniamo quotidianamente per contribuire a cambiare prospettiva sul tema – ha detto Devis Rizzo, presidente di Legacoop Veneto, portando la voce dell’associazione –facendo emergere i buoni modelli e lavorando in rete con gli altri attori del territorio, senza dimenticare il ruolo strategico che devono esercitare gli enti locali. Purtroppo, però, oggi ci troviamo di fronte a un sistema normativo che da un lato mortifica sul nascere tutte le potenzialità dei flussi migratori e dall’altro lato non aiuta le nostre cooperative a perseguire la propria mission. Anche per questo riteniamo fondamentale passare da una gestione dell’accoglienza, vista per lo più come un problema di ordine pubblico e di sicurezza, a una fattiva messa in campo di politiche globali e strutturate, ossia politiche attive che consentano davvero l’integrazione e l’inclusione piena di queste persone. Altro tipo di risposta non aiuta né la coesione sociale né lo sviluppo socioeconomico».
A portare la propria visione ed esperienza sul campo tre cooperative sociali associate a Legacoop Veneto: Maurizio Trabuio, presidente di Città So.La.Re, ha posto l’accento in particolare sulla questione abitativa, ambito che storicamente vede impegnata la cooperativa ed è nodo cruciale anche rispetto alla dimensione dell’inclusione delle persone migranti; mentre Roberto Tuninetti, vicepresidente di Levante, si è concentrato ad analizzare l’impatto dell’attuale sistema di accoglienza sulla già fragile faglia esistente tra la prima accoglienza e l’inserimento nel mondo del lavoro. Infine, Roberta Amore, vicepresidente di Equality, ha messo l’accento sull’importanza del lavoro di empowerment in relazione ai diritti delle persone e alla rete dei servizi del territorio per prevenire le dinamiche di sfruttamento.
Ad affrontare il tema dell’inserimento lavorativo è stato anche Ugo Veronese, componente del Consiglio generale di Ance Padova e del Direttivo Scuola Edile, che ha evidenziato la sua funzione inclusiva e dunque l’importanza di promuovere percorsi codificati di formazione, ricordando anche il ruolo promotore di Anci nella sottoscrizione del protocollo di intesa per l’inserimento sociolavorativo di richiedenti e titolari di protezione internazionale.
Il convegno è stato pure l’occasione per evidenziare le criticità delle attuali politiche pubbliche di accoglienza delle persone migranti in Italia. A toccare questo tema anche Gianni Belloni, giornalista e direttore del Centro di documentazione e inchiesta sulla criminalità in Veneto (CIDV) che insieme all’Università di Napoli e di Torino ha promosso una ricerca sulla cooperazione sociale e i rischi di illegalità insieme all’Università di Napoli e di Torino, finanziata dalla Fondazione di Responsabilità Etica: «Il modello di accoglienza dei richiedenti asilo strutturato come lo è oggi e i repentini cambiamenti introdotti nella legislazione – ha detto Belloni, coordinatore della ricerca con Antonio Vesco – sono tra i fattori di vulnerabilità che abbiamo registrato nel mondo delle cooperative sociali. Questi elementi contribuiscono purtroppo a produrre un processo di totale disallineamento rispetto alle tensioni solidaristiche su cui si fondano le originarie attività del non profit, fino anche ad aprire spazi allo sviluppo di attività illegali e criminali. La rete tra le realtà che si occupano in modo virtuoso di accoglienza, come quelle oggi al tavolo, rappresentano la volontà di andare nella direzione opposta».