Afghanistan, l’audizione di Fondazione Pangea in commissione Affari esteri della Camera: “A Kabul continuiamo le attività di accoglienza, in Italia stiamo organizzando percorsi di accompagnamento per i rifugiati”

Afghane sfollate e arrivate a Kabul, vedove, studentesse, giornaliste, attiviste di ONG straniere e locali, ex poliziotte o militari, dipendenti dei ministeri e insegnanti: sono queste e molte altre le donne più in pericolo secondo la Fondazione Pangea Onlus, che dal 2002 opera in Aghanistan a tutela dei diritti di istruzione e empowerment femminile. Le ha ricordate venerdì scorso alla Camera la vicepresidente dell’associazione Simona Lanzoni, nel corso di un’audizione in commissione Affari esteri sulle attività di soccorso che Pangea sta continuando a portare avanti anche a seguito dell’insediamento del governo talebano nella capitale afghana. “Negli ultimi tempi abbiamo coadiuvato ponti aerei per consentire le evacuazioni, a inizio settembre abbiamo riaperto il nostro ufficio a Kabul“, ha raccontato Lanzoni, “come Fondazione stiamo cercando di ricostruire una rete con le organizzazioni con cui lavoravamo, per capire se è possibile ricominciare a fare il lavoro che facevamo”. Al momento sono 35 le donne accolte dalla Onlus nella propria struttura della capitale afghana, e presto saranno aperte altre case di accoglienza. Ma l’assistenza prosegue anche in Italia: per tutte le persone che sono riuscite ad entrare nel Paese, ha spiegato la vicepresidente, che sono più di trenta, Pangea metterà a disposizione un percorso di accompagnamento aggiuntivo a quello dello Stato, “per spiegare come funzionano le cose qui”. Anche quelle più semplici, ha aggiunto, come fare la spesa o una visita medica.

Secondo Lanzoni i diritti conquistati dalle donne afghane negli ultimi venti anni, dalla cacciata dell’ultimo regime islamico, sono più a rischio che mai: “La situazione è molto pesante, il racconto della comunità internazionale è che i talebani sono persone con cui si possa trattare, ma non è così”. Si assiste però a una resistenza da parte delle donne di Kabul: “Ad uscire di casa – ha spiegato Lanzoni – sono donne giovani che attraverso i social network riescono a raccontare la voglia di resistere e di vita. Senza nessuna etichetta e leadership scendono in piazza perché non hanno niente da perdere”. A protestare sono anche le mamme, ha aggiunto, perché sanno cosa è stato il regime talebano. Infine, un monito al governo italiano: abbiamo fatto uno sforzo incredibile per consentire l’accesso ai profughi ma molto spesso si tratta di accoglienza neutra, andrebbe invece gestita con “un occhio di genere”. 

Condividi su:
Leggi altri articoli