Fare dei centri abitati dei laboratori di innovazione diffusa in collaborazione con le comunità locali è una delle tante analisi e proposte messe a disposizione da Bruxelles per gli Stati membri, Italia in testa, affinché le reti cittadine si connettano condividano idee e soluzioni
Pubblicato l’8 settembre 2020 su www.linkiesta.it/ *Documento coordinato da Elisa Filippi (esperta in programmi europei di interesse urbano). Si ringraziano per la collaborazione Massimo Allulli e Simone D’Antonio.
Con il 74% dei suoi abitanti che vive in un’area urbana, l’Europa è ben al di sopra del tasso di urbanizzazione globale, corrispondente al 54%1. L’urbanizzazione europea mantiene tuttavia alcune peculiarità che derivano dalla storia secolare delle sue città.
A livello europeo, le città con meno di 250.000 abitanti accolgono circa il 28% di popolazione urbana. Quello europeo è quindi un tessuto urbano diffuso, diverso dallo scenario proprio di altri continenti in cui sono le megacittà a dominare la scena urbana. Questo dato può aver facilitato l’emersione di reti di città, che in Europa più che altrove sembrano aver assunto un ruolo di primo piano nei processi di governance. Come recentemente evidenziato in un articolo dedicato alle reti di città, «urban organizations and networks (…) have multiplied over the years and have become a means for cities to cooperate at the EU level» («Le organizzazioni e le reti urbane (…) si sono moltiplicate nel corso degli anni e sono diventate un mezzo per la cooperazione delle città a livello dell’UE»).
L’Europa delle città e dei territori è alla base di suggestioni che nel corso del tempo hanno delineato un’idea di un processo di integrazione basato sull’Europa dei Comuni in grado, secondo Alberto Magnaghi, di «prospettare nuovi orizzonti programmatici e di ruoli arricchendo i sistemi decisionali attraverso forme di federalismo municipale solidale». L’attivismo delle città nell’arena politica europea, evidente nell’azione di decine di reti e organizzazioni (Eurocities, CEMR, Energy Cities, Eurotowns, Eurometrex, solo per citarne alcune) ha negli anni consentito alla questione urbana di emergere in un’arena politica che fin dagli anni ’80 aveva visto le istituzioni regionali in posizione privilegiata rispetto a quelle locali.
L’esito principale di questo protagonismo è individuabile nell’approvazione nel maggio 2016 del cosiddetto “Patto di Amsterdam”. Il documento “Urban Agenda for the EU” è stato promosso dalla presidenza olandese del Consiglio dell’Unione Europea, ed è stato sottoscritto da rappresentanti di tutti i paesi membri dell’Unione. L’Agenda urbana europea si basa su 12 obiettivi tematici che spaziano dal cambiamento climatico, al contrasto alla povertà, alla transizione digitale. Su ciascun tema nell’Agenda si propone un’azione volta a migliorare regole, conoscenze e finanziamenti.
A partire dall’approvazione dell’Agenda Urbana Europea sono state attivate 14 partnership tematiche composte da governi nazionali, autorità locali, reti urbane e stakeholders. Ciascuna partnership ha lavorato a un Action Plan contenente proposte di policy per una politica urbana europea. È quindi oggi a disposizione dei decisori un patrimonio di analisi e proposte frutto di un confronto ampio, che se adeguatamente valorizzato può contribuire a realizzare un’Europa delle Città forse in grado di offrire nuovo slancio a un processo di integrazione oggi messo in discussione da spinte contrastanti.
I programmi e le reti urbane – I temi dell’Agenda Urbana Europea hanno costituito gli elementi di riferimento per la creazione dei progetti finanziati dal programma Urban Innovative Actions, che ha promosso interventi di innovazione urbana in 18 paesi con 86 progetti approvati, realizzati a livello locale attraverso la collaborazione tra amministrazioni comunali e attori del territorio.
Dalla transizione digitale al contrasto alla povertà urbana passando per l’economia circolare, l’occupazione e numerosi altri, i temi dell’Agenda Urbana Europea sono stati tradotti in pratica grazie ad azioni che hanno prodotto impatti tangibili sui territori, sia in termini di rigenerazione urbana che di attivazione di meccanismi virtuosi di governance resi scalabili e replicabili attraverso il confronto costante tra le città attuatrici degli interventi e altre realtà urbane in Europa.
Fino al quinto e ultimo bando del programma Urban Innovative Actions (i cui progetti entreranno in fase di implementazione da settembre 2020) sono undici le città italiane coinvolte (Torino e Milano rispettivamente con due progetti, Bergamo, Bologna, Prato, Ravenna, Latina, Portici, Pozzuoli, Verona e Ferrara) con progetti che hanno favorito lo sviluppo di approcci innovativi, come la cura condivisa dei beni comuni per il rilancio delle periferie o l’utilizzo delle risorse naturali per la creazione di nuove competenze e occupazione sui territori (solo per citare i casi di Torino e Pozzuoli).
L’Italia si è confermata nell’ultimo settennato il Paese maggiormente rappresentato anche all’interno del programma Urbact III, il principale strumento di cooperazione transnazionale per lo sviluppo urbano sostenibile disponibile in Europa che ha coinvolto oltre quaranta realtà italiane rappresentanti tutti i diversi livelli di urbanità del nostro Paese.
Dai comuni di piccole o piccolissime dimensioni collocati in aree interne, come Capizzi (Messina) e Falerna (Reggio Calabria), fino alle grandi città come Roma, Milano, Napoli, a città metropolitane come Torino e Bologna, o alle numerose città medie e Unioni di Comuni: la diversità delle tipologie di azione e delle tematiche coperte dai municipi italiani nelle reti finanziate dal programma Urbact mette in luce quanto la dimensione di rete attivata su scala europea abbia prodotto un contributo innovativo tangibile in termini di visioni, pratiche e soluzioni per il miglioramento della governance delle principali sfide urbane.
I progetti approvati nell’ambito dell’ultimo bando per la creazione di Action Planning Network, (reti transnazionali finalizzate al design di piani d’azione locale, co-disegnati in collaborazione con gli attori del territorio riuniti nei cosiddetti Urbcat Local Group), che coinvolgono venti Comuni italiani, evidenziano alcuni dei temi che saranno al centro delle politiche urbane del futuro, come l’impatto sostenibile del turismo sui territori, il ruolo della responsabilità sociale di impresa per il rilancio delle nostre città, i Social Impact Bond e l’Internet of Things, l’utilizzo degli strumenti digitali per la partecipazione civica e il marketing urbano, la rigenerazione di strade e piazze delle nostre città per migliorare l’efficienza dei trasporti e il senso di sicurezza percepita.
Questi esempi sottolineano ancora una volta quanto la condivisione di modalità di governo del territorio con altre realtà europee possa contribuire a rendere le nostre città dei laboratori di innovazione diffusa, nei quali mettere in pratica approcci innovativi in collaborazione costante con le comunità locali.
La politica per le città nel nuovo bilancio UE – Il dibattito sul quadro finanziario pluriennale (Qfp) dell’UE per il periodo 2021 – 2027 ha registrato un primo accordo tra gli Stati membri al Consiglio europeo del 21 luglio 2020, nonostante la prima proposta adottata dalla Commissione europea risalga a maggio 2018.
Next Generation EU – L’epidemia da Covid-19 ha infatti comprensibilmente portato a rivedere ancora una volta le prospettive di programmazione, sia rispetto alle priorità che alla ripartizione delle risorse, in particolare dopo che è entrata sulla scena la proposta della Commissione per il nuovo Next Generation EU di 750 miliardi di euro che vede al suo interno il Recovery and Resilience Facility che mobilita complessivamente circa 672 miliardi di euro tra sussidi (312,5 mld euro) e prestiti (360 mld euro).
Appare pertinente osservare come il Recovery and Resilience Facility possa rappresentare un’opportunità importante anche per l’implementazione di progetti urbani dell’elevato impatto economico, sociale ed ambientale. Se è vero che la pandemia da Covid-19 è intervenuta mettendo in crisi modelli economici e di interazione sociale fortemente dipendenti dalla dimensione urbana, è proprio dalle città che un nuovo modello di sviluppo e di resilienza potrà partire, come alcune esperienze pilota, in Italia ed in Europa, sembrano già suggerire.
Appare dunque auspicabile che nell’ambito dei Piani nazionali per la ripresa e la resilienza, che i governi nazionali dovranno presentare per accedere ai fondi, la dimensione urbana degli interventi sia identificata come prioritaria, così come le città in quanto attori ed attuatori dei progetti.
Il nuovo Qfp – Rispetto al Quadro finanziario pluriennale, l’accordo raggiunto dal Consiglio appare in ribasso rispetto alla proposta originaria della Commissione e a quella del Parlamento europeo, prevedendo un importo complessivo di 1,074.3 miliardi di euro, cifra che potrebbe essere ora oggetto di ulteriore negoziazione.
Per quanto riguarda le città, tuttavia, si osserva una tendenza lineare e piuttosto condivisa tra le istituzioni nella direzione di un rafforzamento della dimensione urbana della politica di coesione, individuata come una delle aree di azione nelle quali il contributo europeo ha rivelato un impatto di maggiore efficacia.
Nel perseguire questo obiettivo, l’azione proposta dalla Commissione europea si articola in due principali aree di intervento: l’innalzamento al 6% della quota di Fesr destinato allo sviluppo urbano sostenibile e l’istituzione di una nuova iniziativa, definita: “European Urban Initiative”, con un’allocazione di circa 500 milioni di euro finalizzata a: «favorire e sostenere lo sviluppo di capacità degli attori, le azioni innovative, le conoscenze, l’elaborazione di strategie e la comunicazione nel settore dello sviluppo urbano sostenibile».
La “European Urban Initiative – Eui” infatti viene istituita dall’art. 10 della proposta di regolamento del Fesr Com. (372), al di fuori della Cooperazione territoriale europea – Cte, in quanto per essa viene previsto un modello di implementazione gestito (direttamente o indirettamente) della Commissione Europea. L’Eui è strutturata in tre linee di azione: a) supporto al capacity-building (che riprende esplicitamente l’esperienza del programma Urbact); b) supporto alle azioni innovative (con la prosecuzione del programma Urban Innovative Actions); c) supporto alla conoscenza, sviluppo di policy e comunicazione.
Superare la frammentazione e dare rappresentanza alle città – La proposta della Commissione nasce dal riconoscimento dell’esistenza di due principali debolezze nell’attuale sistema: la frammentazione del contesto e l’assenza delle città nel processo di governance. Ad oggi infatti le quattro iniziative “urbane” esistenti sono gestite ciascuna in una modalità diversa. In particolare: il programma Urbact gestito nell’ambito della Cooperazione Territoriale Europea, il programma Uia e l’Urban Development Network gestiti dalla Commissione europea senza la presenza degli Stati membri nel processo decisionale interno, e infine l’Agenda urbana europea gestita operativamente dalla Commissione europea, ma con la supervisione degli Stati membri.
L’altro aspetto, che la proposta della Commissione si pone l’obiettivo di migliorare, è la rappresentanza delle città stesse all’interno del processo decisionale dei programmi Urbact ed Uia. Uno dei paradossi di questi programmi è proprio la singolare assenza delle città e/o la previsione di consultazioni in forma obbligatoria con le autorità locali stesse.
La struttura di governance proposta per la nuova “European Urban Initiative” prevede il coinvolgimento delle città o di associazioni di rappresentanza delle città nell’organo dell’“Eui Steering Group” che ha la finalità di fornire l’orientamento strategico del programma. La governance complessiva dell’iniziativa di fatto vede un accentramento di poteri nella Commissione europea, in particolare in riferimento alla formulazione del programma e alla selezione dei progetti.
In termini pratici è fondamentale ricordare che la proposta della Commissione europea non prevede la creazione di nuovi programmi o strumenti, ma l’introduzione di una cornice unica per quelli già esistenti. Non si assiste dunque ad un significativo aumento di budget se si considera che già i programmi Uia e Urbact insieme beneficiano nella programmazione 2014 – 2020 di circa 468 milioni di euro e che ad essi la proposta della Commissione prevede l’aggiungersi di una terza linea di azione riferita all’Agenda Urbana Europea.
Come anticipato la Commissione europea ha previsto una seconda, e più importante, linea di azione per sostenere la dimensione urbana della politica di coesione. Si tratta dell’introduzione tra gli obiettivi strategici della politica di coesione dell’obiettivo strategico 5 (OS5) ove per la prima volta le “Strategie di sviluppo territoriale” vengono riconosciute in maniera autonoma e con un approccio integrato e multisettoriale. Nell’OS5 troviamo infatti il sostegno per l’attuazione delle strategie sia in aree non urbane, con una riserva del 5% delle risorse totali del Fesr, sia in aree urbane, con la già citata riserva del 6% delle risorse del FESR.
In questo secondo caso, i tre principali strumenti previsti per darvi attuazione sono: l’istituzione di un piano operativo nazionale (ad esempio il Pon Metro), la previsione di una linea dedicata all’asse sviluppo urbano nell’ambito dei Piani operativi regionali (P.o.r.) o ancora l’attivazione degli Investimenti territoriali integrati (Iti) e delle azioni di Sviluppo locale di tipo partecipativo (Clld), strumenti già utilizzati nell’attuale programmazione 2014-2020.
In questo scenario, si inserisce l’iniziativa React-Eu (Recovery Assistance for Cohesion and the Territories of Europe), il pacchetto di 55 miliardi di euro che saranno resi disponibili da Next Generation EU e che saranno veicolati attraverso la politica di coesione già dal 2020 fino al 2022 attraverso una revisione del quadro finanziario.
È importante sottolineare che non si tratta di una riallocazione di risorse, ma di finanziamenti aggiuntivi, “fresh money”, che andranno ad integrare i programmi esistenti, attraverso un tasso di co-finanziamento europeo che coprirà fino al 100% delle spese eleggibili. Secondo le stime, considerando che i fondi saranno ripartiti tenendo conto della gravità dell’impatto economico e sociale esercitato dalla crisi sugli Stati membri, l’Italia potrebbe risultare il Paese maggiormente beneficiario.
Gli scenari futuri – L’emergenza Covid-19 ha ridefinito il quadro di priorità di intervento delle nostre città in un 2020 nel quale si attendeva una svolta decisiva ai negoziati sulla nuova politica di coesione, citata in precedenza, e la finalizzazione del lavoro di aggiornamento della Carta di Lipsia che la presidenza di turno tedesca del Consiglio europeo si appresta a svolgere nel secondo semestre dell’anno, recependo input provenienti da organizzazioni e programmi urbani, autorità nazionali, regionali e urbane che hanno partecipato negli ultimi anni al percorso di definizione del nuovo documento di policy generale sui temi delle città.
L’attenzione dedicata negli ultimi mesi a interventi di rigenerazione urbana temporanea, ad esempio per rendere maggiormente fruibili gli spazi pubblici, e ad azioni di sostegno al commercio di prossimità e alle imprese culturali e creative fa emergere una nuova sensibilità dei diversi livelli di governo rispetto alla necessità di azioni in grado di intervenire su alcuni aspetti specifici del vivere urbano.
Come suggerito dall’accademico Carlos Moreno, sembra farsi largo per le città la necessità di ripensare le politiche di pianificazione, passando dalla pianificazione della città alla pianificazione della vita urbana, attorno alle dinamiche di spazio e di tempo. È questo l’approccio che sta alla base, per esempio, dell’idea di “15 minutes city”, già rilanciata dalla sindaca di Parigi Anne Hildago, ovvero l’idea che ogni cittadino possa avere accesso in un breve perimetro a sei funzioni fondamentali per vivere.
A partire da questo cambio di paradigma, è possibile immaginare che tra gli orientamenti delle città nell’utilizzo dei fondi e degli strumenti urbani europei, uno spazio sempre maggiore sarà riservato a misure sperimentali e ad azioni-pilota che riqualificano spazi, attraverso forme di urbanismo tattico e percorsi di partecipazione attiva dei cittadini, o che rendono più fruibile il verde pubblico, riducendo il divario tra dimensione urbana e rurale. Uno scenario nel quale, grandi interventi infrastrutturali potranno essere ripensati e integrati con l’attivazione di esperienze di innovazione dal forte impatto sociale, sperimentate in forma pilota su scala locale e/o distrettuale.
In conclusione, se il quadro finanziario europeo sembra complessivamente riservare attenzione e risorse per attivare progetti urbani innovativi, le aree urbane sono oggi chiamate ad un’azione programmatoria straordinaria, che combini creatività e solida capacità esecutiva. In particolare, in un momento in cui la dimensione relazionale dell’innovazione sembra assumere sempre maggiore importanza, il ruolo delle reti di città potrà fornire un contributo significativo nel veicolare quel trasferimento di conoscenza, di pratiche e di soluzioni a livello europeo e transnazionale, rivelatosi tanto efficace nel generare idee e soluzioni concrete.
In questo contesto, coniugare le risorse rese disponibili dalle istituzioni (europee, nazionali e regionali) con un nuovo rapporto con imprese e fondazioni in un’ottica di responsabilità sociale condivisa rappresenta un’ulteriore priorità ancora più forte che in passato, con l’obiettivo di massimizzare l’efficienza e l’efficacia nell’utilizzo dei fondi.
Siamo di fronte ad un’occasione doppia per l’Europa e per le nostre città: se ad obiettivi ambiziosi seguiranno idee e progetti concreti, sarà possibile misurare nelle nostre città l’impatto dell’azione di un’Europa capace di migliorare concretamente la vita quotidiana dei suoi cittadini.
*Documento coordinato da Elisa Filippi (esperta in programmi europei di interesse urbano). Si ringraziano per la collaborazione Massimo Allulli e Simone D’Antonio.