Secondo Alfonso Fuggetta lo “snodo centrale” da affrontare per raggiungere l’obiettivo della trasformazione digitale posta dal PNRR è “passare dall’intento all’impatto”, facendo leva su investimenti, risorse e soprattutto sugli strumenti attuativi. “Su questo ancora non ci siamo, se gli strumenti non funzionano o sono complessi non abbiamo impatto. Spesso nel passato abbiamo fatto misure troppo complicate o belle da declamare, ma difficili da scaricare a terra, o facili da applicare, ma che avevano altri problemi e quindi le abbiamo messe da parte. Questa volta c’è l’intento, ci sono le risorse ma stiamo incespicando sugli strumenti”.
“Il problema principale – ha aggiunto Fuggetta – è che ci innamoriamo delle formule e invece dovremmo fare gli ingegneri e chiederci se funziona o no. Siccome nel nostro Paese vale di più la narrazione, l’immagine della sostanza scegliamo degli indirizzi che sono più facilmente raccontabili e che colpiscono l’immaginario di chi ascolta, e invece da questo punto di vista dovremmo essere più drastici e dire che si fanno le cose che funzionano”.
“Continuiamo a dire che mancano le persone e poi le aziende non hanno delle politiche adeguate per attrarre i talenti”, ha detto Fuggetta parlando di formazione necessaria per poter traghettare il Paese verso il futuro. “Serve un capacity planning del sistema formativo, abbiamo bisogno di una rimodulazione che tenga conto della richiesta del mercato. Tutto questo costa, il PNRR sarebbe l’occasione giusta per farlo”.
Fuggetta, come ha ricordato Mochi Sismondi, nel suo libro “Un paese innovatore” auspicava uno Stato capace di abilitare, sostenendo imprese e cittadini, al servizio del benessere di tutti promuovendo innovazione. Sono passati circa due anni, a che punto siamo di questo percorso verso un Paese innovatore? “Mi aspettavo molto di più. Le situazioni di crisi non fanno che mettere di più l’accento sul fatto che lo Stato ci deve proteggere, aiutare e deve intervenire. Sono invece le imprese che creano ricchezza e lavoro, lo Stato ha una sua funzione importante sia come erogatore che gestore di servizi di pubblica utilità e poi dovrebbe stimolare la nascita di nuove imprese e lo sviluppo delle imprese che già esistono. Tutto questo non sta avvenendo e anzi c’è una maggiore richiesta di Stato, perché abbiamo paura”.
E sulla Cybersicurezza, c’è abbastanza consepevolezza nella PA? “Bisogna affrontare il problema a 4 livelli – ha spiegato Fuggetta -. Il primo è il livello infrastrutturale, il secondo è quello delle applicazioni che siano fatte bene e intrinsecamente sicure, il terzo è quello dei processi organizzativi, il quarto livello è quello della cultura diffusa che riguarda tutti i cittadini”.
A chiudere l’intervista una speranza per uscire da questi tempi difficili: “Dobbiamo creare un’Europa meno egoista, più responsabile, vera, forte, seria, autorevole che sia uno snodo di crescita di sviluppo di democrazia e di civiltà per il resto del mondo”.