Anni di direttive e strategie ambientali europee varate in DG Envi e votate in Consiglio dei Ministri (dell’ambiente) UE stanno presentando il conto, a cominciare dalla pesca.
Habitat, Biodiversità, Uccelli, Marine Strategy, Farm to fork, e in generale il Green Deal, vengono calate improvvisamente e a breve scadenza sulla politica comune della pesca (PCP).
Agli obiettivi già posti dalla riforma della PCP dalla riforma del 2013, a cui la pesca italiana sta faticosamente avvicinandosi in un percorso fatto di misure tecniche, di gestione, di riduzione dell’attività e di riduzione degli spazi, vengono aggiunti ora quelli ambientali della protezione del fondale. Per questi nuovi obiettivi viene postulato il phasing out di tutti gli strumenti di cattura mobili di fondo entro il 2030 dalle Aree Marine Protette corrispondenti a tutte le aree Natura 2000 (ex Direttiva Habitat) che però devono essere maggiormente estese; ciò non sarà comunque sufficiente perché il phasing out deve essere esteso anche al di fuori delle MPAs. Con ciò rivelando il vero malcelato obiettivo del Piano di Azione, che è bandire gli attrezzi mobili di fondo da tutti i mari europei.
Su questa folle proposta, un esponente della DG Envi di fronte alla reazione fortemente negativa della Compech del PE si permette di rispondere che se i MEPs non sono d’accordo se ne parlerà alla Corte di Giustizia. Sarebbe interessante sapere se la stessa risposta sarebbe stata pronunciata di fronte alla reazione ugualmente negativa del Consiglio dei Ministri Agrifish del 20 Marzo (tra cui quella del ministro Lollobrigida al quale va il nostro vivo plauso).
La radicalità con cui il Piano di Azione Marittimo targato Synkevicius, incurante delle scontate reazioni negative dei codecisori, intende chiudere il più importante comparto della pesca europea, dal quale proviene la maggior parte del prodotto venduto nei nostri mercati ittici, non può non far pensare alle ormai vicine elezioni europee, per le quali il Commissario uscente si sta evidentemente preparando accreditandosi il più possibile quale verde integralista.
Ugualmente, la decisione di imporre tempi e target della politica ambientale UE alla PCP, nonostante i buoni risultati che questa da sola stava raggiungendo, fa venire al pettine il vecchio nodo dello scoordinamento delle politiche nazionali a livello Europeo, dove i nostri Ministri vanno a votare nei rispettivi Consigli (Ambiente, Agrifish, Sanità, etc.) senza che i Regolamenti, Direttive, Strategie che ne scaturiscono siano stati preventivamente misurati nella loro compatibilità con le varie politiche settoriali connesse.
Una politica trasversale come quella ambientale può così diventare una mannaia che oggi si abbatte sulla pesca, domani su altri settori, a seguito di decisioni prese senza alcun coordinamento del Ministro dell’Ambiente con i titolari dei dicasteri competenti dei settori stessi.
È questo che oggi, se non sarà fermata da un alto e forte muro di opposizione, rende concreta una minaccia che vorrebbe vedere i pescatori diventare in pochi anni soggetti da museo o inseriti nel folklore locale ad uso dei turisti. Un quadro mortificante per la gloriosa tradizione della pesca europea, e forse anche per i destini della DG Mare che dopo tanto lavoro si trova a svolgere una funzione ancillare della DG Envi.