Nonostante le dodici posizioni guadagnate dall’Italia tra 2005 e 2017 nella classifica europea del gender quality index, che misura la collocazione del Paese per uguaglianza di genere, rimaniamo ancora all’ultimo posto in termini di dominio del lavoro, inteso sia come tasso di occupazione e durata della vita lavorativa, sia sotto il profilo delle condizioni professionali. Lo ha fatto sapere stamattina il sottosegretario all’Economia, Maria Cecilia Guerra, ascoltata dalle commissioni Bilancio di Camera e Senato sull’ultima relazione di bilancio di genere del Mef, riferita all’esercizio finanziario 2019.
Diversi i dati di rilievo raccolti nella relazione, che utilizza 128 diversi indicatori e sei ambiti di impatto e che, secondo il sottosegretario, rappresenta una delle basi da cui partire nella definizione delle politiche sociali: sotto il profilo del mercato del lavoro e della conciliazione vita-lavoro, ad esempio, emerge che il tasso di occupazione femminile in Italia nel 2019, salita poco prima del lockdown, è di nuovo tornato a scendere sotto la soglia del 50%, e registra una distanza di circa 18 punti percentuali da quello maschile; il dato inoltre mostra un divario territoriale molto ampio, con un tasso di occupazione delle donne pari al 60,4% al nord e al 33,2% nel Mezzogiorno. “Il contributo più positivo – ha però spiegato Guerra – viene dalle donne tra i 45 e i 54 anni” mentre il tasso di mancata partecipazione è molto significativo per i più giovani, pari al 33%, nel Mezzogiorno pari 41,5%, contro una media delle Regioni del nord del 12,7%. Si registra inoltre un’accentuata segmentazione orizzontale: quasi il 40% delle donne sono occupate nei settori del commercio, della sanità, dell’assistenza sociale e dell’istruzione, e sono per lo più dipendenti; forte anche la segregazione verticale (il cosiddetto “soffitto di cristallo”) che incide sui divari retributivi di genere.
Una parte importante della relazione analizza le entrate e le spese sotto una prospettiva di genere: il reddito medio delle donne rappresenta circa il 59,5% di quello degli uomini, con una corrispondente minor aliquota media delle donne, con l’unica eccezione del più basso decimo di reddito. Inoltre le donne accettano più frequentemente degli uomini retribuzioni più basse a favore di elementi di flessibilità, come la vicinanza con il luogo di lavoro. Ancora, appare in crescita la percentuale di donne che lavorano in part-time, il 32,9% nel 2019, involontario nel 60,8% dei casi, nonostante ci siano molte più laureate che laureati: più di una donna su quattro infatti è sovraistruita rispetto al proprio impiego.
Ad incidere in modo rilevante sulle opportunità professionali per le donne, ha spiegato il sottosegretario, è il loro ruolo centrale nella cura della casa e della famiglia, uno stereotipo che raggiunge il consenso del 51% della popolazione (di cui il 53% donne e il 44% uomini): fra le donne nella fascia di età 25-49 anni si rileva un forte gap occupazionale (74,3%) tra le donne con figli in età prescolare e le donne senza figli; le dimissioni volontarie coinvolgono nel 73% dei casi donne con figli, mentre sul fronte dei congedi parentali, nonostante sia in aumento il numero dei padri che ne usufruiscono (63,3 mila nel 2019), è ancora significativamente inferiore al numero delle madri (233,6 mila). “Una sperequazione ancora enorme – ha commentato Guerra – che ci dà un’indicazione di policy” e cioè che è “bene puntare sulla non cedibilità alla madre e il più possibile su elementi di obbligatorietà“. Ad incidere su questo aspetto ci sarebbe soprattutto la situazione “drammatica” che caratterizza i servizi educativi e gli asili nido: “la percentuale di bambini con meno di tre anni presi in carico da parte di asili nido pubblici raggiunge il 12,5 % nel 2017 e ancora più bassa è quella relativa ai servizi integrativi per la prima infanzia (1%)”, ha spiegato il sottosegretario. “È fondamentale investire nei servizi per l’infanzia liberando tempo di lavoro per le donne e investendo in settori che si caratterizzano per una maggiore occupazione femminile, un doppio dividendo quindi”, a cui se ne aggiunge un terzo, e cioè il ruolo fondamentale di questi servizi per ridurre le disuguaglianze in età adulta. Particolarmente allarmanti poi i dati sulla violenza di genere: secondo i dati, il 31,5% della donne ha subito violenze fisiche o sessuali nel corso della propria vita, un fenomeno che – ha spiegato Guerra – “trova origine non solo negli squilibri di potere ma anche nel radicamento di stereotipi che assegnano ruoli di genere”.
“Vorrei considerare questo bilancio come strumento irrinunciabile per l’analisi di genere del nostro Paese – ha sottolineato il sottosegretario – una sorta di enciclopedia a cui fare riferimento perché ricchissima di dati e informazioni”. In questo senso, Guerra ha chiarito che la scelta del governo sulla spesa del Recovery Fund è di includere il più possibile nei processi di definizione e successiva valutazione dei piani nazionali si ripresa e resilienza una valutazione di impatto di genere, accanto a quelle già previste per la transizione ecologica e quella digitale. Questa scelta dovrebbe favorire la costruzione di indicatori disaggregati da utilizzare, anche in futuro, nella valutazione di tutte le politiche pubbliche, in tutti gli interventi settoriali e a tutti i livelli di governo.