Roma, 17 marzo 2021 – Il 2020 è stato l’anno più catastrofico in tempi di pace, per le perdite di vite umane e per la recessione che ha colpito l’intero pianeta. Sotto il profilo strettamente economico, il nostro Paese ha registrato una caduta del PIL dell’8,9%, doppia rispetto a quella media del PIL mondiale (-4,4%). In numeri assoluti, significa che sono andati perduti 150 miliardi di PIL, 108 miliardi di consumi, 16 miliardi di investimenti, 78 miliardi di esportazioni.
I dati sono contenuti nel report “Un primo bilancio ad un anno dallo scoppio della pandemia”, elaborato nell’ambito del progetto MonitorFase3 nato dalla collaborazione tra Area Studi Legacoop e Prometeia per testare l’evoluzione dell’economia e dei mercati in conseguenza dell’epidemia Covid-19.
Il blocco di molte attività economiche da marzo a maggio, determinato dai lockdown disposti per limitare le interazioni personali, ha prodotto, nel secondo trimestre 2020, un crollo del PIL del 17,8% rispetto al quarto trimestre 2019. Il forte rimbalzo registrato nel terzo trimestre (+15,9%) deponeva a favore della buona capacità di reazione dell’economia italiana e faceva ben sperare sulla prosecuzione della ripresa nei mesi successivi. Ma la virulenza della seconda ondata della pandemia, risultata più grave delle attese nella sua capacità di mettere a nudo le fragilità dei sistemi sanitari e di prevenzione/tracciamento, insieme con l’emergere di varianti del virus, ha richiesto nuovi ed estesi lockdown, tuttora in vigore, che hanno nuovamente bloccato numerose attività.
C’è, però, una differenza sostanziale rispetto alla prima fase: ora le chiusure colpiscono solo le attività a più intensa interazione sociale, mentre lasciano operare tutte le altre: innanzitutto l’industria, le costruzioni, l’agricoltura, ma anche tanti comparti dei servizi.
Gli effetti economici sono dunque più circoscritti: nel quarto trimestre 2020 il PIL ha registrato una caduta “solo” dell’1.9% rispetto al trimestre precedente. Una tendenza che pare destinata a dare timidi segnali di inversione nel primo trimestre del 2021, per il quale si stima una contrazione del PIL dello 0,2% rispetto al trimestre precedente.
Una recessione di tale portata si è ovviamente riverberata anche sull’occupazione. Nonostante le misure attivate (si pensi solo alla CIG allargata a tutte le categorie di dipendenti, che nei mesi di massimo lockdown ha coperto quasi 6 milioni di lavoratori “equivalenti”), a fine 2020 gli occupati sono 435mila in meno rispetto all’anno precedente, con perdite concentrate soprattutto tra i dipendenti a termine (-412mila), i lavoratori autonomi (-141mila), i giovani (-312mila) che non sono riusciti ad entrare nel mercato del lavoro e ai quali non è stato rinnovato un contratto a tempo determinato, le donne (-171mila) più presenti nei settori più direttamente colpiti.
Lo studio di Prometeia e Area Studi Legacoop mette poi in evidenza come la crisi abbia ampliato le disparità tra le famiglie e le imprese.
Per quanto riguarda le famiglie, sono aumentate quelle in forte difficoltà, ma anche quelle con maggiori disponibilità liquide. A fronte di un reddito disponibile che si stima calato complessivamente di 30 miliardi, i risparmi delle famiglie sono cresciuti come mai in passato, raggiungendo i 131 miliardi (erano stati 71 nel 2019), con una propensione media al risparmio quasi raddoppiata (dall’8,2% del 2019 al 15,6% del 2020). Effetto di una sostanziale stabilità di reddito per molti lavoratori (dipendenti pubblici, ma anche molti dell’industria e dei servizi) e di una compressione dei consumi prodotta dai lockdown (non si è andati in vacanza, al ristorante, al cinema, al teatro, si sono comprati meno indumenti lavorando in smart working).
Analoga disuguaglianza si registra, in modo evidente, anche tra le imprese, per le profonde asimmetrie a livello settoriale, territoriale, nella capacità di accedere alle agevolazioni statali. La manifattura ha segnato, a prezzi costanti, un calo del valore aggiunto dell’11,5%, le costruzioni del 6,3% e i servizi dell’8%. In quest’ultimo settore, le performance peggiori sono state quelle delle attività commerciali, di alloggio, trasporto e magazzinaggio (-16%), delle attività artistiche, culturali e di intrattenimento (-14,5%), delle attività professionali, scientifiche e tecniche (-10,4%). In controtendenza (+ 2,0%) i servizi di informazione e comunicazione.
Emblematico, poi, il fatto che motivi precauzionali e l’incertezza delle prospettive abbiano spinto le imprese ad aumentare il ricorso a prestiti, tenendo però i fondi acquisiti sui conti correnti. Il quadro relativo a prestiti e depositi delle società non finanziarie evidenzia come, nel corso del 2020, al flusso dei prestiti (pari a 68 miliardi) corrisponda un aumento anche superiore dell’ammontare dei depositi (83 miliardi), mentre nel 2019 il flusso dei prestiti era negativo per 10,3 miliardi e i depositi assommavano a 32,5 miliardi.
“In tempo di bilanci, abbiamo voluto fare un bilancio complessivo e realistico dell’incredibile anno che abbiamo vissuto” – ha commentato Mauro Lusetti, presidente di Legacoop – “da questa valutazione escono confermati nelle giuste proporzioni molti degli aspetti di questa crisi: l’impatto macroeconomico, che ha colpito il nostro paese più gravemente di altri; il duro colpo sul sistema produttivo, ma pieno di contraddizioni per le asimmetrie dovute alle misure di contenimento. E le asimmetrie sono evidenti pure dal punto di vista sociale, a discapito dei segmenti più fragili ed esposti della nostra comunità nazionale. Dobbiamo però vedere il bicchiere mezzo pieno; che non significa sperare nella fortuna, ma prendere atto del fatto che dopo un anno, e con un bilancio in mano, abbiamo dei punti di riferimento importanti, e la “grande incertezza” che abbiamo più volte denunciato non deve più farci paura. Questa inedita crisi ha reso evidente l’obbligo di ridurre le diseguaglianze e modernizzare il paese”.
Alla gravità della situazione ha fatto riscontro un impegno senza precedenti delle politiche economiche, da quella monetaria della BCE a quella di bilancio italiana, che ha varato misure espansive pari a 108 miliardi di Euro, il 6,6% del PIL. Queste ultime hanno prodotto una crescita dell’indebitamento netto delle pubbliche amministrazioni dai 29 miliardi nel 2019 ai 156 miliardi nel 2020 (determinata per 108 miliardi dalle misure discrezionali di contrasto alla pandemia).
Insomma, un bilancio drammatico frutto della peculiarità di questa crisi che, originando non da squilibri economici ma dalle limitazioni all’interazione sociale introdotte per fronteggiare la diffusione del virus, ha assunto caratteristiche diverse da tutte le crisi passate.
Proprio per questo anche l’uscita da questa crisi potrà essere diversa. Il presupposto è che il processo di vaccinazione possa proseguire il più speditamente possibile, anche per limitare la diffusione delle “varianti”, così che a partire dall’estate, complice anche la bella stagione, i limiti possano essere via via rimossi e in autunno l’attività economica possa avviarsi verso il ritorno a una “normalità” che difficilmente sarà la stessa di quella pre-crisi sotto molti aspetti, dalle abitudini di consumo, alle modalità di lavoro, alla necessità di riallocazione e riconversione di molte imprese e lavoratori.
In questa trasformazione sarà cruciale il modo in cui verranno spesi i fondi del NGEU. Essi rappresentano un’occasione straordinaria perché il Paese intraprenda quell’ammodernamento delle infrastrutture, materiali e immateriali, da molto tempo frenato da vincoli strutturali e da carenza di risorse.