Protagonista ancora una volta di una importante impresa: la cooperativa Cbc Conservazione Beni Culturali, associata a Legacoop Lazio, ha avviato un intervento al Getty Museum di Los Angeles. Sta lavorando al restauro strutturale di un dipinto della celebre Artemisia Gentileschi dal titolo “Ercole e Onfale”, danneggiato gravemente durante l’esplosione al Porto di Beirut avvenuta nell’agosto del 2020 che uccise 218 persone e ne ferì 7mila, coinvolgendo, oltre le case di 300mila persone, anche il Sursock Museum.
E’ “una delle più importanti scoperte recenti all’interno del corpus di Artemisia Gentileschi, a dimostrazione della sua ambizione nel raffigurare soggetti storici, pratica senza precedenti per un’artista donna ai suoi tempi” aveva dichiarato il direttore del Getty, Timothy Potts. Ora Cbc è pronta a lavorare per restituire questo capolavoro al pubblico e alla storia. Ma non è nuova a queste imprese: perché la cooperativa romana ha fatto la storia del restauro, intervenendo sulle opere dei grandi: dalla Pietà Rondanini di Michelangelo alla Fontana di Trevi fino alla Torre di Pisa, per citare solo alcune delle più note. E tra i cantieri aperti oggi in Italia anche le opere conservate nei Musei Vaticani, con l’obiettivo di mantenerne l’integrità e di controllarne le condizioni attraverso il monitoraggio periodico. “Per noi una occasione unica perché ci occupiamo della cura giornaliera di un patrimonio che tutto il mondo viene a visitare, nel contempo accresciamo la nostra esperienza e le nostre conoscenze delle problematiche conservative” ci racconta in una intervista Laura Vagaggini, che si occupa di gestione amministrativa, del commerciale e delle gare d’appalto di concerto con il Cda della cooperativa.
Oggi parliamo con lei e una sua collega. Hanno da poco tempo chiuso il restauro del “Castigo dei Serpenti” del Tiepolo: “opera formidabile nei suoi aspetti tecnici e compositivi perché si tratta di un dipinto su tela lungo 13 metri e alto circa 1 metro che ha avuto una storia conservativa difficile tale da avere una moltitudine di abrasioni e lacune fortemente deturpanti – ci spiega Irene Zuliani, restauratrice di Cbc -. La sfida è stata quella di nascondere con garbo quelle ferite e dare risalto a un testo pittorico potente e ricco di informazioni”.
Il loro è un lavoro difficile e avvincente, fatto di interventi su opere note in Italia e all’estero, affrontato con la stessa serietà anche quando si tratta di opere minori e spesso amate in egual misura dalle comunità.
Fondata 46 anni fa da un gruppo di restauratrici neodiplomate all’ICR in un clima di grande fermento culturale e possibilità di fare impresa cooperativa, Cbc ha un tessuto imprenditoriale caratterizzato da una elevata presenza femminile. “Non si tratta di una scelta a tavolino. Chi vuole far parte della nostra cooperativa è perché trova in questa struttura la possibilità di esprimere e condividere le proprie capacità e l’occasione di crescere indipendentemente dal genere” chiarisce Laura Vagaggini. Ma aggiunge: “aspetti chiave per lavorare con noi e spiccatamente femminili sono la naturale propensione all’organizzazione del lavoro nei suoi aspetti gestionali e produttivi affiancata dall’attitudine ad interagire in modo empatico con i colleghi”.
Laura, com’è questa vita “da Ercolano a Los Angeles” e come nasce un intervento all’estero?
La collaborazione con il Getty Conservation Institute ad Ercolano dura da molti anni ma è ora arrivata al termine. Era incentrata sullo studio dei consolidanti e fin dall’inizio è stata seguita da Mark Gittins: dovrebbe uscire a breve una pubblicazione con i risultati di questa esperienza. Mentre l’intervento al Getty Museum di Los Angeles è appena iniziato, Matteo Rossi Doria è già stato a Los Angeles per 2 settimane e sta per ripartire per altre 5 settimane per concludere il restauro strutturale del dipinto di Artemisia Gentileschi danneggiato nell’esplosione avvenuta nel porto di Beirut. Di solito gli inviti a partecipare arrivano tramite colleghi di altri settori di specializzazione che conoscono il nostro modo di lavorare. Così, sono stati eseguiti cantieri di restauro in Francia a Fontainebleau e in diverse chiese nella Repubblica di Georgia, in collaborazione con i restauratori georgiani. Ci sono state anche altre collaborazioni dove abbiamo partecipato sia come formatori che consulenti praticanti, in diversi luoghi- il Medio Oriente, la Cina – oltre a quelle summenzionate col Getty.
Mi parli dell’esperienza nel contesto georgiano?
Io c’ero quando ci ha contattato la funzionaria della Banca Mondiale per la progettazione di un lavoro di urgenza sui dipinti murali in Georgia. La proposta ci onorò moltissimo e l’intervento rappresentò una bella sfida, perché bisognava eseguire il lavoro e contestualmente collaborare con i georgiani alla costruzione di una struttura autonoma in grado di gestire tutti gli aspetti di un intervento di restauro. Sapevamo, inoltre, che l’organizzazione del cantiere sarebbe stata un’impresa altrettanto impegnativa in quanto reperire sul posto i materiali non era semplice e la spedizione richiedeva tempi troppo lunghi. Ricordo che Mark Gittins e Sabina Vedovello, i responsabili del lavoro, partirono con due valige piene di materiali che pesavano 50 Kg ognuna! Il risultato finale fu talmente apprezzato che ci valse il premio Europa Nostra.
Irene, l’intervento più difficile?
Quasi tutti i restauri hanno una loro complessità specifica, vuoi per l’importanza o popolarità che ricoprono, vuoi per complessità tecnica o per vicende conservative difficili o anche per il valore devozionale che ha l’oggetto per una comunità. Una volta ci capitò di essere aggredite dai fedeli di una chiesetta mentre portavamo via la statua di una Madonna perché temevano che non l’avremmo mai più riconsegnata. Alcune opere che abbiamo restaurato, come la Fornarina o La Deposizione di Raffaello, hanno un’importanza e un valore tali da farci tremare solo all’idea di sfiorarli con un pennello. Ci sono lavori difficili per le vicende conservative, rimaneggiamenti e trasformazioni che nei secoli hanno alterato totalmente l’aspetto dell’opera. Il restauro del Monumento funebre al Cardinale De Bray di Arnolfo di Cambio conservato nella Chiesa di San Domenico a Orvieto durò diversi anni perché dovemmo restaurare i singoli elementi marmorei che lo compongono e studiarne approfonditamente i dati tecnici e le tracce documentali per riproporre il rimontaggio quanto più fedele possibile al progetto originario dell’artista. Un altro lavoro che ci ha impegnato molto ha riguardato lo smontaggio del Memoriale Italiano conservato nel blocco 21 ad Auschwitz. I miei colleghi ci hanno raccontato di una realtà rigida e desolata per le condizioni climatiche, poiché l’intervento fu condotto durante la stagione invernale, ma quello di cui più soffrivano era l’impatto emotivo che quel luogo con la sua storia aveva su di loro. Di questo lavoro è uscita una pubblicazione e sul sito lo abbiamo messo come “caso di studio” proprio per la sua specificità.
La vostra è una materia difficile, intersettoriale e interdisciplinare. Leggo di collaborazioni con Istituti, Enti di Ricerca, Università, specialisti in vari ambiti e ditte specializzate: quanto è importante per voi fare rete?
L’interdisciplinarità nel restauro è importante e auspicata poiché la sinergia di competenze diverse contribuisce a fornire un prodotto finale quanto più aderente alle esigenze della conservazione del patrimonio. Questo è un lavoro che non si può fare da soli, cioè, servono risorse e professionalità diverse e categorie imprenditoriali specifiche in base alle caratteristiche dell’intervento da eseguirsi. Avere una rete di contatti ampia in termini di specialità e di dislocazione sul territorio nazionale ci consente di instaurare partnership funzionali e all’acquisizione e all’esecuzione dei lavori. Non solo, anche mantenere un confronto aperto e dinamico con gli altri attori della conservazione è per noi un valore aggiunto. In questo senso, abbiamo cercato e mantenuto rapporti di collaborazione sia con imprese specializzate che con Enti di ricerca e istituti formatori perché riteniamo rappresentino per noi un’occasione di accrescimento professionale e curriculare nonché la possibilità di estendere la nostra esperienza lavorativa anche all’ambito dei progetti.
Innovazione: come interviene concretamente nel vostro lavoro?
Il restauro può sembrare un settore statico, in realtà ha sempre rincorso l’innovazione nei procedimenti, nei metodi e negli approcci senza dimenticare di volgere lo sguardo al passato con il suo bagaglio di esempi e trasformazioni. Le ragioni sono molteplici: soddisfare il desiderio di sperimentalismo, adeguarsi alle normative in materia di sicurezza sul lavoro, aggiornarsi e intuire il vantaggio dell’evoluzione tecnologica applicata al mondo del restauro, rispondere alle esigenze del mercato e alle richieste di una società che cambia continuamente. Il restauro ha sempre mutuato da altri settori materiali, attrezzature, strumenti e sistemi diagnostici adattandoli nell’uso al proprio ambito di applicazione, basti pensare all’uso del Laser per la pulitura dei materiali lapidei o ai polimeri gelificanti maggiormente impiegati nel campo della cosmesi, per la rimozione delle sostanze soprammesse sui dipinti.
Laura, un bilancio: cosa è successo negli anni della pandemia e cosa in questo anno che si è appena concluso?
Come per tutti il 2020 è stato un anno difficile ma tutto sommato siamo riuscite a superarlo, fortunatamente avevamo cantieri già avviati che finita l’emergenza sanitaria abbiamo potuto terminare. Certo è che il momento storico non favorisce per nulla le piccole imprese o le eccellenze come nel nostro caso, pur essendoci diversi milioni di euro del PNRR destinati al nostro settore. Le gare bandite hanno importi molto elevati per noi spesso inaccessibili e purtroppo le grandi imprese che riescono ad aggiudicarseli non sempre rispettano criteri di trasparenza. Il tema molto discusso e attuale della sostenibilità ci riguarda sotto vari aspetti, e mi sento di affermare che la cura del patrimonio culturale, di cui noi siamo i professionisti designati, e la garanzia di poter agire con elevati standard qualitativi non sono obiettivi sempre sostenibili in un Paese che sta puntando molto di più alla quantità che alla qualità dei lavori.