Digitalizzazione in Italia: errori commessi e spunti per il futuro

Strutturare il piano imprese 4.0 e rendere strutturali alcune norme. Agli imprenditori serve la certezza di quello che possono o non possono fare […] la cosa più importante da fare ed è la prima che faremo”. Così parlava il neo Ministro dello Sviluppo Economico, Stefano Patuanelli, a margine del convegno inaugurale del Cersaie a Bologna, il 23 settembre 2019. La pandemia globale di Coronavirus non ha soltanto tolto la vita a migliaia di persone in Italia, ma ha messo a dura prova un’economia che, al momento, si trova piegata (speriamo non spezzata) a causa delle misure di contenimento del virus. La maggioranza delle attività economiche si sono rivelate impreparate a subire questo arresto forzato. Per quanto concerne la digitalizzazione in Italia, i dati sono chiari. Al di là dei limiti mostrati dalle imprese e dei liberi professionisti, è emerso soprattutto l’inadeguato livello di informatizzazione dei servizi della Pubblica Amministrazione.

Laddove non sono riusciti i governi passati a suon di decreti e incentivi, è riuscito il Covid-19 ad avvicinare l’Italia ad una serie di strumenti e di modalità di lavoro fino ad oggi ampiamente sottovalutate o ignorate.

Smart Working e Industria 4.0: due chimere per l’Italia

Dove possiamo riscontrare questi problemi? Basti guardare il numero di aziende che prima della recente pandemia attuavano piani di Smart Working. Fino al D.P.C.M. del 1° marzo emesso dal governo Conte (contenente disposizioni attuative del decreto-legge 23 febbraio 2020, recante misure urgenti in materia di contenimento e gestione dell’emergenza epidemiologica da COVID-19) questa modalità di lavoro agile era per lo più vista come una soluzione fantasiosa di lavoro da remoto. Sebbene questa forma di lavoro avvenga da remoto, esistono sostanziali differenze tecniche (strumentazione, linee, permessi) che differenziano le due modalità di lavoro.

Gli smart worker in Italia erano nel 2019 circa 570mila, con una crescita significativa rispetto all’anno precedente. In particolare, è tra le PA che si è registrato l’incremento di progetti strutturati di Smart Working più significativo, con quasi il doppio delle persone abilitate. Durante l’emergenza e la forzata chiusura del Paese, si è stimato che i così detti “lavoratori agili” fossero divenuti all’incirca 8 milioni.

Per quanto riguarda invece la produzione aziendale, molte industrie negli anni scorsi non hanno provveduto a sviluppare delle catene di montaggio e di lavoro munite di sistemi innovativi in linea con i principi e gli strumenti informatici, elettronici e tecnici della così detta “Industria 4.0”.

Secondo il report dell’Osservatorio Industria 4.0 della School of Management del Politecnico di Milano, nel 2019 le industrie italiane hanno investito quasi 3,9 miliardi di euro. Un aumento del 22% rispetto all’anno precedente. L’Industria 4.0 italiana si conferma essere in un momento di grande fermento, con la crescita delle attività di sperimentazione ed applicazione sul campo. Quando si parla di Industria 4.0 ci si riferisce in particolare a sei tecnologie abilitantiIndustrial Internet of Things, Industrial Analytics, Cloud Manufacturing, Advanced Automation, Advanced Human Machine Interface e Additive Manufacturing. Soltanto di recente le imprese italiane si erano attivate, grazie anche agli incentivi statali.

Vorrei ma non digitalizzo

LEGGI LA NOTIZIA

FONTE:  https://www.tomorrownews.it/ pubblicato il 26 novembre a cura di Filippo Fibbia

 

 

 

Condividi su:
Leggi altri articoli correlati