Come si rende felice un musicista? Basta lasciarlo suonare libero, senza la preoccupazione costante del domani. Se ne è parlato il 25 maggio al Festival dell’Economia di Trento, organizzato dal Gruppo 24 ORE insieme a Trentino Marketing per conto della Provincia Autonoma di Trento e con il contributo del Comune di Trento e dell’Università di Trento, durante il talk organizzato su invito dell’Università di Trento da Rete Doc, la più grande e longeva rete cooperativa del settore artistico in Italia.
Sul palco sono saliti Francesca Martinelli, direttrice della Fondazione Centro Studi Doc, Andrea Ponzoni, CEO Freecom Hub, e l’artista Omar Pedrini. I relatori hanno puntato il dito su un sistema che non tutela i musicisti in Italia: oltre 43mila persone che sono esposte alla precarietà estrema, aggrappate a un mercato che soffoca la visione creativa e genera un sistema invivibile. Nonostante il settore appaia in salute, con una continua crescita sia del mercato discografico, trainato soprattutto dallo streaming, sia della musica live, vi sono alcune criticità, come le difficoltà a riscontrare delle realtà piccole e indipendenti e il modello organizzativo dell’industria discografica sempre più orientato al successo immediato, con i noti casi di burnout degli artisti, che faticano a costruire carriere di lungo corso. Vivere facendo il mestiere di musicista è arduo, al punto che in media i musicisti e le musiciste guadagnano 6.800 euro all’anno (dati INPS 2022), appena al di sotto della soglia di povertà. La retribuzione così bassa è legata al fatto che spesso il lavoro nello spettacolo – per sopravvivere – non solo è combinato con un’altra occupazione, ma sovente è anche retribuito in nero. Tanto che il lavoro sommerso, secondo una ricerca di Fondazione Centro Studi Doc, nel 2018 ammontava a circa 4 miliardi di euro solo nella musica dal vivo.
In questo panorama desolante, hanno sostenuto i relatori, si possono individuare strade differenti grazie al modello cooperativo.
Nel presentare Rete Doc, Francesca Martinelli ha spiegato la filosofia della cooperazione, che “permette di conservare la componente umana del lavoro, ragionando come rete e non come singoli. Nel 1990, un gruppo di musicisti ha creato una cooperativa per ottenere migliori condizioni di lavoro e uscire dal sommerso. Auto-assumendosi in cooperativa già i primi soci e socie hanno iniziato a godere dei vantaggi del lavoro dipendente, come le tutele in caso di infortuni, malattia, disoccupazione, maternità, ma conservando l’autonomia dei freelance. Oggi siamo 9mila tra soci e socie, che svolgono tutte le professioni dello spettacolo e dell’industria culturale e creativa. Nel corso degli anni, per migliorare la nostra professionalità, abbiamo anche introdotto alcuni strumenti, come l’etichetta discografica per edizioni, promozione e distribuzione, l’ufficio legale e contratti, l’ufficio bandi e progetti e tutti i servizi di cui ogni artista ha bisogno. Perfino un’agenzia viaggi che, oggi, oltre ad aiutare soci e socie a organizzare i propri viaggi di lavoro, gestisce anche la logistica dei più importanti tour nazionali”.
A dimostrare il valore aggiunto di questo modello sono anche i numeri, con le migliaia di musicisti di Rete Doc che guadagnano il 65% in più rispetto alla media italiana, pari a oltre 11.000 euro in media all’anno. Oltre al supporto dei diversi servizi che i soci e le socie hanno costruito negli anni per migliorare la propria professionalità, essere in cooperativa consente di gestire con un unico interlocutore le diverse attività svolte (concerti, vendita merchandise, raccolta royalties, insegnamento e altre professioni parallele), di essere remunerati con la paga base anche prima che il committente saldi il cachet e di monitorare l’andamento della propria attività grazie a una piattaforma che in modo trasparente evidenzia tutti gli introiti. Nonostante la natura del lavoro resti discontinua, questo meccanismo permette di fare un minimo di programmazione per quanto riguarda sia lo svolgimento del lavoro sia la gestione della vita privata.