L’entità del Next Generation Eu impone una riduzione degli interventi a fondo perduto e il ricorso alle energie del mercato
Secondo le proiezioni della Commissione Europea, a fine 2021 il Pil italiano sarà 8 punti al di sotto del livello del 2008. Nello stesso arco di tempo la Germania avrà registrato una crescita di 12 punti percentuali. La caduta della nostra economia viene da lontano. Oggi, lo shock indotto dal Covid amplifica il ritardo. L’Italia è il Paese che, in Europa, registrerà la contrazione più marcata e la ripresa più lenta.
Il confronto politico e il dibattito pubblico si sono schiacciati sull’elenco dei progetti, sulle ipotesi per la ripartizione minuta delle risorse, sull’attribuzione dei poteri, all’interno dell’esecutivo e nei rapporti tra centro e periferia. Molto poco si è discusso, invece, di come predisporre schemi generali di finanziamento capaci di orientare la spesa verso interventi capaci di promuovere sviluppo e occupazione. Del resto, secondo l’impostazione fino a ora dominante, ben poco ci sarebbe da dibattere, visto che i trasferimenti europei sono assimilati a grant da impiegare a fondo perduto. Questa rappresentazione rischia di alimentare le richieste e le aspettative più disparate, frapponendosi come un macigno rispetto alla realizzazione di programmi di spesa capaci di produrre un impatto.
Se questa linea dovesse prevalere, ogni euro da Bruxelles sarebbe allocato attraverso un’intermediazione politica e burocratica minuta, con due effetti negativi. Il primo, la difficoltà delle amministrazioni nel disegnare, proporre ed eseguire buoni progetti in tempi accettabili. Il secondo, la rappresentazione dei fondi europei come una sorta di bottino politico da spartire e del ruolo dello Stato come ufficiale pagatore su mille rivoli.
FONTE: https://www.corriere.it/ pubblicato il 17 gennaio 2021 a cura di Fabio Pammolli