Inflazione: AreaStudi Legacoop-Prometeia, in autunno prezzi in crescita del 3%; non si prevede spirale inflazionistica, ma rischi da non sottovalutare.

Roma, 18 ottobre 2021 – La fiammata inflazionistica che sta investendo il nostro Paese, e che nei mesi autunnali potrebbe tradursi in una crescita dei prezzi al consumo superiore al 3%, va valutata come fenomeno temporaneo, in particolare perché i prezzi sui mercati internazionali di numerose commodity stanno rientrando dai picchi dei mesi scorsi e non sembra si siano innescati effetti di second-round. Tuttavia, la crescita dell’inflazione, e il timore di nuovi incrementi dei prezzi in comparti di grande impatto, come le tariffe energetiche, non potrà non influenzare la ripresa dei consumi delle famiglie, in particolare quelle a basso reddito, alimentando gli effetti diseguali della crisi e peggiorando la distribuzione del reddito. Inoltre, qualora le tensioni inflazionistiche non risultino circoscritte settorialmente e temporalmente ma, in ragione della loro permanenza, finiscano per traslarsi lungo tutta la filiera dei prezzi, c’è il rischio che inneschino second-round effect salariali e si radichino nelle aspettative.

È quanto emerge dal report “Il rialzo dell’inflazione: un fattore transitorio, ma aumentano i rischi che possa divenire strutturale”, realizzato nell’ambito del progetto di ricerca Monitor Fase 3, frutto della collaborazione tra Area Studi Legacoop e Prometeia.

Lo studio, ricordando come l’inflazione al consumo in Italia continui ad accelerare (in settembre si è portata al 2,5% dal 2% di agosto), sottolinea che la ripresa dell’inflazione risente dei cosiddetti effetti base (ovvero del fatto che crescite anche modeste mese su mese si confrontano con le cadute dei prezzi che hanno accompagnato i primi lockdown a inizio  2020), ma non solo di questi, in quanto i prezzi al consumo, a settembre, sono del 2% più elevati rispetto al pre-pandemia (settembre 2019), mentre l’attività economica, e in particolare i consumi delle famiglie, sono ancora ben lontani da tali livelli.

La componente energetica è la principale responsabile dell’aumento dell’inflazione, come è reso evidente dalle tariffe energetiche (energia elettrica e gas) aumentate dell’11% nel terzo trimestre rispetto al precedente. Gli aumenti già stabiliti per ottobre porteranno a un ulteriore incremento di quasi il 20% nel quarto trimestre rispetto al terzo. Tra gennaio e dicembre 2021, l’incremento delle tariffe sarebbe attorno al 40%, contribuendo per circa 1 punto percentuale alla crescita dei prezzi al consumo. Questi aumenti tariffari, che sarebbero stati ben più alti se non ci fosse stato l’intervento del governo che ha stanziato 4.5 miliardi di euro, riflettono quelli dei prezzi delle materie prime e in misura minore dei permessi per l’emissione di CO2.

“La situazione – commenta Mauro Lusetti, Presidente di Legacoop – ci conferma quanto sia incerta e complessa la nuova normalità; noi la osserviamo con attenzione per poter essere di aiuto e stimolo alle istituzioni. Anche le nostre analisi propendono per la transitorietà di questi fenomeni, ma ci sono incognite da non sottovalutare. Con le nostre imprese ormai da mesi vediamo i fornitori raschiare i fondi di magazzino, e i prezzi delle materie prime triplicare o quadruplicare nel giro di pochi giorni. Dopo anni di deflazione non è una provvisoria inflazione al 3% a spaventarci; siamo però molto preoccupati, nella fase attuale, perché la crescita dell’inflazione appesantisce fortemente le imprese impegnate a spingere la ripresa, e produce ricadute sulla vita dei cittadini, già stremati dalle difficoltà dei mesi passati. La situazione richiede quindi una attenta regia istituzionale e di essere pronti a predisporre misure di calmiere almeno sui servizi essenziali.”

Ma i prezzi delle materie prime energetiche non sono i soli ad aumentare. La pressione che si sta esercitando sui costi delle imprese è legata anche all’andamento dei prezzi alla produzione dei manufatti. In particolare, la crescita dei prezzi dei manufatti non alimentari ha raggiunto in agosto il 7,8% (era 6,9% in luglio), un valore che non si osservava dagli anni 90. Dietro il valore medio si nascondono ampie differenze settoriali. La quota dei settori i cui prezzi aumentano più del 10% (con punte oltre il 50%) sono il 18.2%, ma ben il 44% dei settori registra incrementi tra il 3% e il 10%. A spingere l’inflazione c’è anche la maggior parte dei settori delle commodity (plastiche, legname, acciai e metalli non ferrosi), dove i prezzi in Euro, a metà 2021, hanno raggiunto livelli mai osservati in passato. Le cause fondamentali sonola rapida crescita della Cina dopo il lockdown di inizio 2020;la crescita di beni di consumo con un elevato contenuto di commodity (elettrodomestici, autoveicoli, elettronica, beni per la casa);vincoli di offerta nelle catene globali del valore, che hanno reso difficile soddisfare la crescente domanda nei tempi richiesti;la transizione «green» dell’economie e la prospettiva di un processo che si intensificherà (gli effetti si sono visti soprattutto sui prezzi di rame e stagno).

Comunque, come detto prima, non sembrano esserci gli elementi per prevedere l’innesco di una spirale inflazionistica. La previsione è che i prezzi al consumo possano superare il 3% nei mesi autunnali, ma in media d’anno la crescita si fermerebbe nell’intorno del 2%. Si tornerebbe su livelli più bassi nel 2023, per poi risalire gradualmente verso il 2% nel 2024. Un andamento che, però, non autorizza a sottovalutare i rischi. In particolare, l’adattamento agli shock di offerta può essere più lungo di quanto previsto in questo scenario. Le imprese e i lavoratori hanno bisogno di tempo per adattarsi. Questo è particolarmente vero per settori come il commercio al dettaglio, l’ospitalità e il turismo, con effetti diretti a catena per gli immobili e i trasporti, ma coinvolge un po’ tutta l’industria manifatturiera se consideriamo le esigenze poste dalla transizione climatica. È inoltre possibile che il cambiamento climatico continuerà ad aumentare la volatilità dei prezzi relativi, le tensioni e le barriere internazionali, le interruzioni della produzione e del commercio. Ma mentre alcuni di questi aggiustamenti sono disinflazionistici, dato che i lavoratori devono cambiare settore e le imprese colpite perdono valore, questo processo aumenta anche il mismatch del mercato del lavoro e i valori relativi di altri settori.

 

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