Roma, 21 dicembre 2021 – Per sostenere lo sviluppo economico e il lavoro lo Stato dovrebbe incentivare il reshoring da parte delle imprese italiane che hanno delocalizzato all’estero, definire un salario minimo e disincentivare i contratti a tempo determinato.
È quanto risulta dalle risposte ad un sondaggio condotto su un campione rappresentativo della popolazione italiana nell’ambito dell’Osservatorio Legacoop, ideato e realizzato dall’AreaStudi dell’associazione insieme con il partner di ricerca IPSOS.
Alla richiesta di esprimersi su quali azioni lo Stato dovrebbe intraprendere per sostenere sviluppo e lavoro, il 46% degli intervistati ha indicato la necessità di incentivare le imprese italiane che hanno delocalizzato all’estero a ritornare a produrre nel nostro Paese (il 50% nel ceto medio e tra le categorie dei quadri, degli impiegati e degli insegnanti); al secondo posto, con il 40% dei consensi, l’esigenza di definire un salario minimo (il 51% nel ceto popolare e tra i disoccupati in cerca di primo impiego), seguita, con il 31%, dalla raccomandazione di disincentivare i contratti a tempo determinato (36% tra gli studenti e 35% nel nord-est). Al quarto posto, un riferimento al tema delle politiche attive, con l’indicazione della necessità di facilitare il passaggio da lavoro a lavoro (23%).
E che il lavoro, del resto, continui a rappresentare un elemento centrale nella vita degli italiani lo testimonia anche il grado di consenso registrato da alcune affermazioni proposte nel sondaggio.
Così, il 58% degli intervistati (il 73% tra gli studenti) si dichiara molto d’accordo sulla definizione del lavoro come una fonte di reddito, il 44% (il 59% tra gli studenti) come un modo per affermare la propria indipendenza, il 39% (il 50% tra gli studenti) come un’opportunità di crescita personale, il 38% (il 47% tra liberi professionisti, autonomi e imprenditori).
“Il lavoro è ancora la prima preoccupazione delle italiane e degli italiani, per sé e per i propri cari” – commenta Mauro Lusetti, presidente di Legacoop – “Lo abbiamo visto chiaramente nel corso di questa crisi: al di là, e forse di più, delle preoccupazioni sanitarie le persone erano spaventate dal perdere il lavoro, dal non riuscire a trovarne un altro, dal vedere disperse le proprie competenze e retribuzioni, e quindi le proprie sicurezze. Ora, quando la ripresa sembra in corso, alcuni difetti strutturali del mondo del lavoro italiano risultano molto evidenti. È fondamentale che questo tema sia messo ai primi posti dell’agenda. Non si tratta solamente di consolidare le politiche attive del lavoro, ma anche di riformare gli ammortizzatori sociali senza minare la capacità competitiva di alcuni settori. Occorre poi ragionare in termini più complessivi: istruzione, formazione, innalzamento dei livelli salariali, servizi alle persone e welfare universalistici. Un paese che non riesce a impiegare le energie di cui dispone, che non riesce a mettere le persone giuste al posto giusto, che non riesce a valorizzare competenze, conoscenze, ambizioni e speranze, è un paese che non funziona. Mentre parte il PNRR, ricordiamo che senza buon lavoro si ricostruisce un paese fragile.”
Il sondaggio ha inoltre indagato su quelli che gli italiani considerano gli aspetti più importanti di un lavoro ritenuto ideale. Al primo posto, ex aequo, vengono indicati il trattamento economico (dal 45% degli intervistati, che sale al 52% tra quadri, insegnanti e impiegati e al 50% nel centro Italia e nel ceto popolare) e la stabilità del posto di lavoro (45%, che sale al 63% tra i disoccupati in cerca di prima occupazione). Al terzo posto la disponibilità di tempo libero e orari flessibili (28%, che sale al 41% tra i disoccupati in cerca di occupazione e al 40% nel ceto popolare), seguita dal lavoro come occasione di formazione, di apprendimento e di crescita (24%) e, in quinta posizione, da autonomia e indipendenza (22%, che sale al 36% tra liberi professionisti, autonomi e imprenditori).