Lavoro: AreaStudi Legacoop-Prometeia, con la ripresa lo sblocco licenziamenti avrà impatti asimmetrici ma senza criticità; rischi per HoReCa, intrattenimento e servizi alle imprese. Lusetti: “Da emergenza a fiducia: limitare gli impatti, ma scommettere sulla modernizzazione del Paese”.

Roma, 21 giugno 2021 – Il termine a fine giugno del blocco dei licenziamenti per i fruitori di CIGO/CIGS -sostanzialmente imprese industriali con più di 15 addetti, costruzioni, grandi imprese dei servizi- non dovrebbe presentare criticità particolari alla luce dell’andamento dell’attività economica in questi comparti; così come il termine a fine ottobre del blocco dei licenziamenti per i fruitori di CIG in deroga e FIS se accompagnato dalla ripresa che l’estate dovrebbe portare per tutte le attività più colpite dall’anno di emergenza e distanziamento.

Diversamente, sia per le imprese dei settori più direttamente colpiti, sia per tutte quelle che la crisi potrebbe aver lasciato più in difficoltà (alberghiero, ristorazione, catering, ma anche tessile e abbigliamento) con il venir meno del blocco potrebbe manifestarsi un problema occupazionale che si sommerebbe alle perdite già accumulate, concentrate nel settore dei servizi: nel primo trimestre 2021 le posizioni lavorative erano 960mila in meno rispetto al periodo pre-crisi. 

È quanto emerge dal report “Una riflessione sul blocco dei licenziamenti e le misure a sostegno dell’occupazione”, elaborato nell’ambito del progetto MonitorFase3 nato dalla collaborazione tra AreaStudi Legacoop e Prometeia per testare l’evoluzione dell’economia e dei mercati nel corso dell’epidemia Covid-19.

Lo studio richiama le misure di sostegno per lavoratori e imprese adottate dal governo italiano per attenuare le conseguenze economiche della crisi da Covid-19 e le compara agli altri paesi europei.

In Italia, nel 2020, il blocco dei licenziamenti ha effettivamente ridotto le cessazioni di contratti di lavoro a tempo indeterminato (390mila in meno rispetto al 2019) mentre sono aumentate quelle relative alle altre tipologie contrattuali (in particolare, tempo determinato e stagionali).

Ma qual è il quadro attuale dell’occupazione nel nostro Paese?

Rispetto all’ultimo trimestre del 2019, nel primo trimestre 2021 si registra un netto aumento degli occupati nelle costruzioni (+ 69.300), un ritorno sui livelli pre-crisi dell’agricoltura (+ 8.000), livelli occupazionali di poco inferiori nell’industria in senso stretto (- 15.200) e nei servizi finanziari e assicurativi (- 17.500), mentre il grosso della contrazione si è concentrato su commercio e HoReCa (- 675.000) e, in misura meno accentuata, sul complesso degli altri servizi (- 212.000, dove è compreso l’intrattenimento) e nel settore Amministrazioni Pubbliche, istruzione, sanità, assistenza sociale (- 53.400). Si sta inoltre riducendo il numero dei “lavoratori equivalenti” in CIG-FIS che sono passati dai 3 milioni e 250 mila di aprile 2020 ai 400mila di aprile 2021 (dato stimato sulla base della quota di utilizzo di marzo) e, secondo i primi dati provvisori, dovrebbero essere ulteriormente e drasticamente diminuiti a maggio.

Il report sottolinea, inoltre, che il primo trimestre 2021 evidenzia segni di recupero dell’occupazione, facendo registrare un’inversione di tendenza rispetto ai mesi precedenti, con un incremento nei lavoratori dipendenti a termine che può essere letto come un segnale di attesa, da parte delle imprese, e di una ripresa della domanda. In dettaglio, In dettaglio, in aprile 2021 i lavoratori dipendenti aumentano di 139mila unità rispetto a gennaio, come saldo di un incremento di 183mila unità di dipendenti con contratto a tempo determinato ed un decremento di 44mila permanenti. 

“Dopo la fase di pronto intervento nell’emergenza, ora inizia quella di gestione della ripresa” – afferma Mauro Lusetti, Presidente di Legacoop – “la prima richiedeva coraggio e tempestività, quest’ultima richiede buon senso e strumenti di precisione. Il mercato del lavoro è la prima prova: numeri sul tavolo, freddezza e niente preconcetti. A noi pare che così come gli impatti della crisi sono stati fortemente asimmetrici, così questa fase vada affrontata differenziando le misure per settore: accelerando dove la situazione lo consente, rallentando nei comparti più colpiti, dove le conseguenze sociali della crisi rischiano di sommarsi a inevitabili ristrutturazioni. Ora, però, abbiamo una sfida aggiuntiva, un’occasione storica: affrontare l’inevitabile sblocco dei licenziamenti non solamente con i tradizionali strumenti del confronto sociale, ma pure investendo finalmente in formazione e politiche attive del lavoro. Limitiamo gli impatti, ma scommettiamo insieme sulla modernizzazione del paese”.

La prospettiva che si delinea è, insomma, quella di un’attività economica che si avvia verso la “normalità”. Per quanto riguarda l’industria, in aprile la produzione industriale è tornata a superare i livelli pre-crisi, gli indicatori di fiducia e congiunturali segnalano la prosecuzione di un ciclo di ripresa. Una tendenza simile, pur in assenza di indicatori congiunturali specifici, è da attendersi anche per molti comparti dei servizi (finanza e assicurazioni, immobiliare, grande distribuzione, trasporti). Nelle costruzioni, già da mesi la produzione ha recuperato i livelli pre-crisi (+ 10% a marzo) e tutti gli indicatori sono orientati positivamente; il superbonus 110% e gli investimenti previsti nel PNRR sostengono le prospettive del settore su una tendenza espansiva di un’intensità quale non si osservava da oltre un decennio. Per i servizi e le attività più colpite dalle restrizioni, l’estate dovrebbe consentire un ritorno verso la “normalità”. Rimane il quesito sui danni permanenti: quanti lavoratori che hanno perso l’occupazione potranno ritrovarla? quante imprese non riusciranno a risollevarsi?

Interrogativi accanto ai quali si profila il rischio di ulteriori licenziamenti, nonostante la ripresa, per le attività più duramente colpite dalla crisi, in particolare l’HoReCa, l’intrattenimento e i servizi alle imprese. Per questi settori pesano indicatori sfavorevoli come l’elevata presenza di imprese di piccolissime dimensioni (oltre il 70% dei licenziamenti avviene proprio in quella tipologia) e di lavoro dipendente, e cadute di valore aggiunto nel 2020 che oscillano tra il 20 e il 40% rispetto al 2019.

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