Migliorano le rese, aumenta la qualità, ma cala il prezzo pagato agli agricoltori. Una contraddizione che rende meno interessante produrre grano tenero. A spiegare la situazione che si trova a vivere il settore è Eros Gualandi, delegato della presidenza ai settori conduzione terreni, agroenergie e innovazione di Legacoop Agroalimentare. «L’areale di riferimento delle analisi è quello Padano dove c’è omogeneità produttiva. Un vasto areale dove ci sono state rese in alcuni casi interessanti, la qualità del prodotto raccolto prima della piogge di quasi fine campagna raccolta era diffusamente più che conforme ai parametri richiesti dall’industria di trasformazione. Poi, arrivata la pioggia e si sono avuti decadimenti qualitativi a macchia di leopardo. In alcune zone si è avuto un abbassamento del livello proteico e dei pesi specifici, ma comunque quasi sempre rimasti valori sufficienti e pure discreti. Infatti nonostante ciò, gli aspetti di salubrità della granella sono rimasti accettabili per tutta la campagna in tutte le aree. Non si sono avuti particolari problematiche se dove il grano si è allettato (sdraiato a terra) a causa delle piogge pesanti e del forte vento». Per quanto riguarda il Sud, granaio d’Italia, «si è invece avuta una contrazione significativa delle rese dovuta alla scarsità/assenza delle piogge e al contrario di quanto successo nell’areale Padano ».
Quadro positivo per rese e costi di produzione ma non per i prezzi. Sicuramente, continua Gualandi «quello descritto per l’areale Padano è uno scenario migliore di quello dell’annata precedente. Anche i dati economici sono leggermente migliori dovuti al contenimento dei prezzi dei fertilizzanti il cui costo permette di risparmiare circa 50 euro ad ettaro. Non si ravvisano invece diminuzioni delle altre voci dei costi di produzione in quanto il carburante ed i lubrificanti utilizzati dalle macchine agricole al fine di svolgere le operazioni agro-meccaniche non hanno avuto diminuzioni di prezzo. Si evidenzia che sono aumentate le rese produttive in maniera significativa (fino a +20 quintali ettaro), grazie ad un migliore accrescimento e maturazione del prodotto rispetto alla scorsa campagna quando dovemmo fare i conti con un meteo estremo che in talune vaste aree portò anche le alluvioni». Per quanto riguarda, invece, i prezzi, negli ultimi 3 anni sono calati da oltre 30 euro al quintale a 22 euro, si è avuto una diminuzione di un terzo. E questo mortifica i produttori, che nonostante le buone rese da cui conseguono maggiori ricavi fino a 400 euro/ettaro rispetto la campagna scorsa, che eleva la Plv (Produzione lorda vendibile) a circa 1.500 euro/ettaro, siamo ancora a circa – 500 euro/ ettaro rispetto gli anni 2021 e 2022 ove si superarono diffusamente i 2.000 euro/ettaro circa che determinano la soglia di redditività necessaria alla produzione».
Per aumentare la quantità di grano made in Italy, aumentare i prezzi. L’Italia punterebbe a ridurre la dipendenza produttiva di materia prima da Paesi terzi da cui oggi è costretta a rifornirsi in quanto non sarebbe altrimenti possibile produrre tutta la pasta con solo il nostro grano. Ma per fare sì che l’Italia possa aumentare la propria produzione, si deve puntare soprattutto sull’incremento delle rese per ettaro oltre che sugli ettari seminati. E per fare questo occorrono maggiori input di carattere genetico, nutrizionale e di difesa che trovano nell’utilizzo di tecnologie innovative e di applicazione dell’Agricoltura di Precisione la loro massima efficacia pur in un contesto di diminuzione delle quantità distribuite in campo. Si può già oggi parlare di varietà meglio rispondenti a climi asciutti e caldi che stanno caratterizzando gli ultimi anni, di nutrizione mirata delle piante in accrescimento e non più di spandimento di concime nei campi, di difesa con alta efficacia pur con basso uso di molecole e di consumi energetici per le lavorazioni molto ridotti. Le innovazioni citate che assicurano quanto descritto sono disponibili, ma evidenziano costi non sostenibili dalla redditività del grano tenero anche con buone rese come quelle ottenute questo anno. In questa situazione economica si rischia che i cereali, che agronomicamente rappresentano un fondamento della rotazione agraria per le altre coltivazioni che si susseguono, e il grano in particolare possa essere considerato più che una coltura su cui puntare, un mero obbligo agronomico. Questo perché non redditizio quindi non meritevole delle cure ed attenzioni necessarie ad accrescerne le performance produttive. Un approccio alla desistenza produttiva assolutamente da evitare per scongiurare che gli agricoltori possano essere portati a considerare il grano come un problema più che una risorsa», sottolinea Gualandi.
Almeno 30 euro al quintale per incentivare la coltivazione. La remunerazione, ovviamente, è determinante e «se i prezzi crescessero almeno fino a 30 euro saremmo in grado di aumentare in maniera significativa la produzione e in parallelo la qualità. Un aumento di qualche euro che sarebbe marginale all’interno della filiera, rispetto al costo finale del panegra o della pasta».
Migliori rese in terreni negli areali zootecnici. La presenza di allevamenti zootecnici e impianti di digestione anaerobica per la produzione di biogas, entrambi i contesti sono forti apportatori di sostanza organica ai terreni, assicurando il mantenimento della fertilità, migliorano in maniera significativa le rese per ettaro. «Le migliori performance per rese e qualità si sono ottenute in terreni con una buona dotazione di sostanza organica. E questo succede in areali zootecnici e di produzione di biogas, mentre in quelli senza tali strutture le prestazioni sono peggiori. Senza allevamenti i terreni sono meno fertili, maggiormente aridi e meno in grado di attenuare gli effetti dei cambiamenti climatici. In questa annata si è riscontrato diffusamente che i terreni con maggior tenore di sostanza organica portano benefici anche alla resilienza alle avversità come siccità o eccessi di pioggia».