L’interruzione brusca di un rapporto secolare tra gli oliveti, le famiglie e spesso le imprese che si sono tramandate la cura e la gestione delle piante che arricchiscono la macchia mediterranea tipica dei paesaggi del nostro Paese mette a rischio molto più che una tradizione e una produzione d’eccellenza. Perché a rompersi è anche un patto per la ricchezza del territorio e per l’equilibrio dell’ambiente. La tecnologia avrebbe dovuto rendere più semplice e meno faticoso il rapporto con le piante e invece l’allontanamento e la fuga verso le grandi città sta lasciando sui campi solo un grande senso di abbandono e di incuria, che in alcune regioni cede il passo al mero business. In alcuni luoghi, infatti, ulivi centenari e monumentali, testimoni della storia, vengono sradicati e venduti per migliaia di euro per essere trasferiti nelle terre del Nord Italia o persino nei Paesi arabi. E’ il fallimento di una tradizione che ormai rischia di essere svalutata e svenduta perché non compresa.
Come spesso rimane sconosciuto e incompreso il valore della storia di realtà come i “Frantoi del Lazio”, consorzio di secondo livello nato nel 2000 ma con origini ben più radicate nella storia del territorio perché nato da una cooperativa costituitasi il 13 agosto del 1947, a ridosso della Seconda guerra mondiale a Latina, per contrastare il crescente stato di abbandono degli uliveti dovuto anche al cambio generazionale e al trasferimento dei residenti verso le città.
“Quel primo frantoio storico diventa il punto di partenza per la creazione di una cooperativa di servizi che inizia a offrire supporto ai piccoli proprietari degli uliveti locali – spiega il presidente Paolo Mariani-. Con il tempo, il numero di dipendenti cresce fino a raggiungere le 18 persone, coinvolte nella gestione degli oliveti e nella produzione di olio extravergine. Con l’espansione della superficie coltivata, sorgono le prime sfide legate alla gestione del prodotto, coinvolgendo non solo gli agricoltori ma anche gli imprenditori. Nasce così la necessità di organizzare la produzione e di affrontare le questioni logistiche e finanziarie connesse ai rapporti commerciali. Nel 2000, il progetto “Frantoi del Lazio” prende forma, fondendo diverse cooperative della regione Lazio, tra cui quelle di Scandriglia, Latina, Rocca Massima, Bomarzo, Genazzano e Guidonia Montecelio – continua-. Si crea quindi un centro logistico di imbottigliamento, utilizzando attrezzature acquistate ma mai utilizzate in precedenza. Grazie a una cooperativa di Frosinone, l’olio prodotto viene portato tutto a Piglio. Nel frattempo, anche grazie al supporto di Legacoop, vengono stabiliti contatti con la Grande Distribuzione Organizzata (GDO) e quindi con PAQ2000, Conad e Coop Firenze. Inizia così la produzione di una linea di imbottigliamento propria, con il marchio Frantoi del Lazio”.
La sfida più importante, però, rimane quella del cambiamento climatico. “Le gelate del 2018, le frequenti piogge che si alternano a periodi di forte siccità, causano problemi di stabilizzazione del prodotto – spiega il presidente del consorzio-. I cambiamenti climatici rappresentano una sfida significativa per l’olivicoltura, soprattutto nelle regioni interne del Lazio e delle zone centrali dell’Italia. Questi cambiamenti hanno effetti diretti sulla pianta di olivo, la quale richiede quantità adeguate di acqua e freddo per prosperare. Tuttavia, negli ultimi anni, sia l’acqua che il freddo sono diventati scarsi, creando difficoltà per gli oliveti collinari, tipici di queste regioni“.
La mancanza di risorse idriche e di infrastrutture come bacini di raccolta e consorzi di bonifica rende difficile implementare sistemi di irrigazione nelle zone collinari, aggravando ulteriormente la situazione. “Inoltre, sebbene l’approccio biologico alla produzione agricola sia lodevole, non è sufficiente a combattere le malattie che affliggono gli uliveti – commenta il presidente Paolo Mariani-. Negli anni ’80, quando prevaleva l’uso di prodotti chimici, si sono verificati disastri ambientali, ma ora mancano prodotti efficaci per la gestione delle malattie, e la ricerca in questo settore è limitata e spesso controllata da multinazionali. La sostenibilità dell’olivicoltura richiede un approccio olistico che includa non solo la dimensione ambientale, ma anche quella economica, sociale ed etica. Tuttavia, al momento, mancano strategie a livello industriale per affrontare queste sfide, e le produzioni rischiano di ridursi notevolmente”.
Non solo nella regione Lazio ma anche nelle altre, l’olivicoltura sta diventando sempre più un’attività marginale, soprattutto per le imprese agricole di medie dimensioni, che faticano a mantenere la redditività senza forme di aggregazione. “Senza interventi mirati a livello regionale e cooperativo, l’agricoltore medio potrebbe essere costretto ad abbandonare questa attività. Per affrontare queste sfide, è necessario un cambiamento di prospettiva – chiarisce Mariani-. Le vecchie forme di cooperativa, nate negli anni ’70 devono essere rinnovate. Piuttosto che limitarsi a produrre, trasformare e commercializzare, queste nuove filiere devono impegnarsi a garantire una produzione di alta qualità e a valorizzare il lavoro degli agricoltori“. L’aggregazione e la creazione di contratti di rete possono rappresentare soluzioni efficaci per sostenere gli agricoltori e garantire un reddito stabile. Tuttavia, è fondamentale che questa collaborazione includa non solo l’aspetto produttivo, ma anche quello trasformativo e commerciale, per garantire un equo ritorno economico agli agricoltori.
“La situazione è particolarmente critica nelle regioni interne, dove la meccanizzazione è difficile e si stanno verificando cambiamenti di coltura, come il passaggio dagli oliveti ai noccioleti – racconta-. Anche nelle zone tradizionali dell’olivicoltura, come Viterbo, si osservano questi cambiamenti, con un aumento della competizione da parte di altre colture. Per invertire questa tendenza, è necessario un approccio integrato che coinvolga non solo le istituzioni pubbliche, ma anche le aziende agricole, le cooperative e le associazioni di settore. Inoltre, è fondamentale investire nella formazione e nella ricerca per sviluppare nuove figure professionali e promuovere l’innovazione nel settore”. E conclude dicendo: “La promozione del prodotto è essenziale per aumentare la visibilità dell’olio extravergine di oliva e valorizzare il lavoro degli agricoltori. Tuttavia, questa promozione deve essere guidata da esperti del settore, in grado di comunicare efficacemente le qualità del prodotto e creare nuove opportunità di mercato sia a livello nazionale che internazionale. Per garantire un futuro sostenibile per l’olivicoltura nel Lazio e nelle regioni centrali, è necessario un approccio collaborativo e integrato che coinvolga tutti gli attori del settore e affronti le sfide attuali con determinazione e innovazione”.