Mozzarella, strumento per diffondere la cultura della legalità: la storia della cooperativa e del caseificio Le Terre di Don Peppe Diana

Dal 2001 – anno in cui è stata costituita la prima cooperativa sociale per la gestione di beni confiscati alla mafia – ad oggi, la situazione è profondamente cambiata, si è acquisita una coscienza collettiva che ha portato alla costituzione di oltre 1000 cooperative sociali sorte in luoghi sottratti alle organizzazioni criminali.

Ne è convinto Massimo Rocco, presidente della cooperativa sociale “Le Terre di don Peppe Diana – Libera Terra” che nell’incontro “Fare cooperazione nelle terre confiscate alla camorra” ha raccontato la storia della cooperativa e del caseificio Le Terre di Don Peppe Diana che opera nella zona di Castel Volturno, in provincia di Caserta.

L’incontro organizzato a Bazzano – Valsamoggia da Libera Bologna, Cooperare con Libera Terra, dalla cooperativa sociale Cadiai di Bologna e dal Centro Legalità e Inclusione per la promozione della Cittadinanza Responsabile della Fondazione Rocca dei Bentivoglio e del Comune di Valsamoggia è parte del più ampio progetto “Coltivare Futuro” portato avanti con il contributo della Fondazione del Monte.

“Oggi stiamo facendo la normalità – ha spiegato Rocco –, cercando di essere cooperatori come lo sono altri con la consapevolezza di farlo, non solo per noi ma anche per il nostro territorio e in generale per il nostro Paese”.

Il percorso è iniziato 13 anni fa, nel 2010, con la costituzione della cooperativa sociale “Le Terre di don Peppe Diana – Libera Terra” parte della rete di Cooperare Libera Terra e con la definizione del progetto che prevedeva la produzione, in un territorio confiscato alla camorra, della mozzarella della legalità e di altri prodotti caseari.

“Fin da subito il nostro obiettivo è stato di dimostrare con i fatti quanto valesse il progetto – racconta Rocco –, non volevamo fare una mozzarella qualsiasi, ma un prodotto di qualità dietro al quale, in realtà, si nasconde un significato molto più profondo. La cooperativa, il caseificio e la produzione della mozzarella e degli altri prodotti caseari sono strumenti per diffondere la legalità, in terre precedentemente in mano alle organizzazioni criminali. Uno smacco per loro. Alla base c’è anche la volontà di riappropriarci del nostro territorio, a partire dal vocabolario: i casalesi devono tornare ad essere gli abitanti di Casal di Principe non il clan di camorra”.

Il presidente della cooperativa ha poi raccontato come anche la scelta del prodotto sia dipeso dal rispetto per un territorio a vocazione agricola e dalla esigenza di valorizzare i prodotti tipici di una zona in cui in precedenza il reparto bufalino era in mano alla camorra. Un percorso non sempre facile che talvolta ha incontrato lo scetticismo delle istituzioni e l’indifferenza dell’ambiente circostante, ma che è andato avanti favorendo l’inclusione lavorativa, la rete con imprenditori onesti e il legame con aziende bufaline che, prime nel territorio, hanno intrapreso la strada della conversione al biologico. Obiettivo comune: l’alta qualità, unica possibilità per rimanere nel circuito di Libera Terra. E che la mozzarella della legalità sia di qualità lo testimonia anche la vittoria nel 2021 della “Mozzarella Championship Bufale in Tavola categoria Dop”, concorso a cui parteciparono 100 caseifici.

“Fare parte di una rete nazionale è un privilegio ma è anche un impegno – sottolinea Rocco –, bisogna dimostrare attraverso l’attività di essere capaci. Oggi siamo in 13, compresi i lavoratori stagionali, il nostro obiettivo per il futuro è di aprirci al territorio circostante anche costruendo occasioni di confronto con la popolazione, mentre il sogno nel cassetto è di aprire un piccolo punto vendita in un vicolo di Napoli”.

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