Roma, 18 giugno 2021 – Dare risposta a una domanda di abitare come infrastruttura sociale per il futuro del Paese, facendosi carico della domanda debole, che si caratterizza per una complessità di fragilità abitative, economiche e sociali (il 55,8% delle famiglie ne ha almeno una). La sfida è integrare diversi strumenti e abilitare le partnership pubblico-privato, affiancando altri modelli e risorse oltre ai 2,8 Miliardi del PNRR, già stanziati sul Programma Innovativo Qualità per l’Abitare.
È questo, in sintesi, l’obiettivo del progetto “Next Housing”, realizzato da Nomisma insieme a Legacoop Abitanti con il contributo di Coopfond, il fondo mutualistico di promozione di Legacoop.
Più di 3 milioni di famiglie vivono in situazioni di disagio abitativo (oltre il 13% delle famiglie residenti in Italia), 1 milione di famiglie sono “incastrate” in condizioni di forte difficoltà, 5,2 milioni di persone (8,7%) hanno un sovraccarico dei costi dell’abitare: ovvero i costi per l’alloggio rappresentano più del 40% del reddito.
Inoltre, guardando alle trasformazioni delle generazioni, tra i “nuovi anziani” il 24% dichiara di essere interessato a cambiare abitazione, tra gli under 65 c’è un’elevata disponibilità al trasferimento (64%), immaginando nuove prospettive abitative, i desiderata rispetto agli spazi sono riferiti ad aree comuni per la socialità (62%) o spazi per attività e servizi da progettare insieme ad altri inquilini. I genitori anziani e figli esprimono un bisogno di soluzioni abitative che favoriscano percorsi di sostegno all’autonomia e si affaccia persino un immaginario di forme di abitare intergenerazionale (6,5%).
La risposta parziale del PNRR alla domanda di abitare sostenibile
A fronte di questi dati è evidente come il dilemma della relazione tra domanda e offerta sia assolutamente riduttivo; si tratta di iniziare a pensare in termini di “costruzione sociale” della domanda, ovvero la capacità di intercettare segnali trasformativi e immaginare soluzioni: un tetto intelligente e servizi di prossimità, con soggetti che svolgono un ruolo di intermediazione evoluta.
La cooperazione di abitanti -sulla base di un’esperienza che ha consentito di offrire alloggi con canoni inferiori fino al 30% del prezzo di mercato (quasi 10.000 alloggi di offerta in locazione negli ultimi dieci anni), di garantire la manutenzione del patrimonio, di affiancare alla casa un’offerta di servizi anche con il coinvolgimento delle cooperative sociali- si candida a rispondere alle esigenze di queste categorie di soggetti, a patto che si condivida un piano che dia una nuova centralità alla casa.
Il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza, che ambisce con le sei missioni a un ripensamento del Paese, contiene una risposta parziale a questa domanda di abitare sostenibile (accessibilità dei canoni, accompagnamento sociale, transizione ecologica) e si dovrebbe pensare a una riposta strutturale. Il Programma Innovativo per la Qualità dell’abitare – 2, 8 miliardi nel PNRR – ha definito alcuni obiettivi coerenti, ma con strumenti rispetti ai quali esprimiamo qualche preoccupazione sugli esiti quantitativi in termini di effettivo incremento di Edilizia Residenziale Sociale. Inoltre, abbiamo registrato qualche difficoltà sulla gestione dei processi: non sono chiari i termini di partecipazione dei privati per i quali non c’è stato il tempo di una effettiva collaborazione con il soggetto pubblico, così come riteniamo un elemento di criticità la non ammissibilità dei costi per le funzioni di natura sociale dichiarati come essenziali. Altri strumenti finanziari, anche quelli limited profit, difficilmente potranno raggiungere da soli obiettivi che per la loro natura avranno bisogno di quote di fondo perduto per poter rispondere alla domanda descritta.
“Esistono altre opportunità da attivare, per affiancare gli strumenti del PNRR sulla casa: i Fondi Ex Gescal che ancora non sono stati completamente utilizzati per gli interventi di edilizia sociale realizzati da privati come le Cooperative e le Imprese di Costruzione, processi di ripensamento del patrimonio pubblico fondati su modelli gestionali innovativi, strumenti europei come l’Affordable Housing Initiative, attraverso una riconfigurazione sistemica degli attori -sottolinea Rossana Zaccaria, Presidente di Legacoop Abitanti- che devono poter collaborare attraverso sistemi che abilitano la co-progettazione e la partecipazione dei soggetti privati socialmente orientati e con un track record di esperienza, come le cooperative di abitanti. Crediamo, infine, che sarebbe ambizioso definire un progetto faro italiano per l’iniziativa New European Bauhaus della Commissione Europea (ne verranno selezionati 5 a livello europeo) con un mix di target e un mix di attori”.
Inoltre, si intravede il rischio di una frammentazione degli strumenti di Rigenerazione Urbana, che, in alcuni casi, includono il tema abitativo in maniera residuale, con obiettivi indefiniti e in capo a due diversi Ministeri: Ministero dell’Interno e Ministero delle Infrastrutture e Mobilità Sostenibili.
“La complessità dei progetti di Rigenerazione Urbana -sottolinea Mauro Lusetti, Presidente di Legacoop- richiede strumenti a governance allargata e plurale per leggere i bisogni locali, attraverso una rete radicata sul territorio e filiere intersettoriali. Forme efficaci di partenariato pubblico-privato dovrebbero prevedere strumenti di selezione in grado di valutare i risultati e renderli compatibili con le finalità di natura sociale che richiedono strumenti di azione diversificati. Inoltre, tutte le linee di azione sulla Rigenerazione Urbana che prevedono un obiettivo legato alla casa dovrebbero abilitare tecnicamente alla co-progettazione, alla partnership e all’attuazione, anche operatori dell’alloggio sociale come le cooperative di abitanti e non solo il Terzo Settore”.
I dati più significativi del disagio abitativo: la “domanda debole”; le esigenze degli anziani
Il progetto si basa su un lavoro di analisi e di ricerca che ha, innanzitutto, svolto un’indagine su un campione rappresentativo delle famiglie italiane per profilare la “domanda debole”, su tre parametri: debolezza economica, abitativa e sociale. Ne è risultato che 7,3 milioni di famiglie (il 28,3%) segnalano forti problemi economici (difficoltà a fare fronte alle spese per la propria abitazione, accumulo di ritardi di oltre 90 giorni nei pagamenti dell’affitto o del mutuo); 3 milioni (11,7%) si dichiarano insoddisfatte rispetto ad aspetti relativi alla propria abitazione (dimensione, suddivisione degli spazi, adeguatezza rispetto al numero dei componenti e alle esigenze della famiglia) e al contesto in cui vivono (sicurezza della zona, vicinanza ai servizi e ai trasporti pubblici); 11,3 milioni (il 43,5%) evidenziano una debolezza sociale legata al tema della salute (componenti non autosufficienti o con limitazioni), del lavoro (componenti disoccupati o lavoratori precari), della fragilità del sistema di relazioni. A completare il quadro, l’evidenza che il 55,8% delle famiglie presentano almeno una debolezza e che poco più di 1 milione di famiglie (il 3,9% delle famiglie totali) risultano “incastrate”, ovvero assommano tutte e tre le debolezze. Si tratta di famiglie che vivono in affitto, risiedono nel Mezzogiorno, sono formate da una coppia (o da un solo genitore) con figli, hanno almeno una persona disoccupata e presentano un reddito basso (fino a 1.800 Euro al mese).
Relativamente agli anziani, l’indagine evidenzia che nel 2035 gli over 65 costituiranno 1 /3 della popolazione, aumentano le famiglie sandwich con un sovraccarico di cura tra figli e genitori vulnerabili, il 38% delle famiglie italiane (circa 10 milioni) ha al suo interno almeno un anziano; che il 60% degli anziani residenti in città con oltre 100mila abitanti e disposti a trasferirsi preferirebbe vivere in un centro di dimensioni più ridotte; che il 36% dei contribuenti pensionati (4,6 milioni di individui) ha un reddito mensile tra i 500 e i 1.250 Euro, che, in caso di necessità, li esclude dalla possibilità di soluzioni abitative e assistenziali sia pubbliche che private.