Recovery Fund, il vaccino economico della UE

Pubblicato su il sole 24 ore a cura di Carlo Altomonte e Patrizia Bussoli

I mercati finanziari hanno accolto l’annuncio di maggio sul Recovery Fund, e poi l’accordo del Consiglio Europeo di luglio, Next Generation Europe (NGEU) alla stregua di un ‘vaccino europeo’ contro gli effetti del virus sull’economia. Per la prima volta nella storia europea lo spazio d’azione del bilancio comune, tradizionalmente volto a coprire spese strutturali (agricoltura, fondi regionali), consente la correzione di deficit congiunturali nella crescita, finanziandosi con emissione di debito comune, novità assoluta.
Nel breve, il beneficio è chiaro: listini azionari in corsa, spread dei paesi periferici ai minimi, euro ai massimi sul dollaro. Il costo di finanziamento dei paesi periferici, come il rischio di sostenibilità del debito, si riduce anche alla luce delle tecnicalità del nuovo debito pubblico europeo. La Commissione emetterà debito tra il 2021 ed il 2026, con scadenze entro il 2058 e una durata media non inferiore ai 13 anni, dato il tetto concordato sull’ammontare massimo di capitale che può essere ripagato in un anno. Tali scadenze lunghe si intrecciano con le garanzie aggiuntive che gli Stati membri dovranno versare al bilancio per ripagare i fondi NGEU e incassate dal 2028. Un mismatch temporale che evita una cross-default clause delle emissioni europee. Se uno Stato membro sarà inadempiente nei confronti della Commissione sul versamento delle garanzie o sul ripagamento dei prestiti bilaterali dei fondi NGEU, il ricorso (temporaneo) a fonti finanziarie interne del bilancio europeo o alle garanzie aggiuntive degli altri Stati membri, garantirà il rimborso delle emissioni comunitarie, assicurerà un alto rating agli strumenti finanziari comunitari, utili per fondi pensione, assicurazioni o per l’acquisto dalla stessa BCE.

Nel medio periodo tuttavia occorre chiedersi sino a quando il vaccino NGEU ‘immunizzerà’ l’economia continentale da ricadute in termini di stabilità finanziaria e crescita. Lo strumento attualmente disponibile, essendo un programma che non copre la parte a breve termine della curva dei rendimenti, non è utilizzabile da tutti gli operatori di mercato. Fintanto che i Recovery Bond non si trasformeranno in uno strumento sistematico di politica economica europea con emissioni ricorrenti sul mercato, atte a finanziare anche beni pubblici continentali, sarà infatti arduo parlare di safe asset che possa sostituire il Bund sul mercato, e fungere da base di valutazione per le emissioni nazionali.
Per arrivare a questo sviluppo, le questioni chiave sono due, tra loro collegate. Da un lato, le modalità di utilizzo delle risorse comunitarie all’interno dei piani di Recovery nazionali richiedono lo stretto coordinamento della Commissione per tradursi in stimolo alla crescita e alla riduzione delle asimmetrie all’interno dell’Unione, evitando meri trasferimenti da Stati ricchi a Stati poveri dell’UE.

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