Pubblicato il 30 agosto 2020 su /www.ilriformista.it a cura di Ciriaco M. Viggiano
Un piano industriale della durata di cinque o dieci anni che finalizzi l’attività di ricerca e innovazione allo sviluppo di settori strategici come aerospaziale, agroalimentare e tecnologie di trasformazione. Ecco la strategia con cui Luigi Nicolais, già ministro per le Riforme e presidente del Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr), immagina di stimolare la crescita dell’Italia, a cominciare dal Mezzogiorno. Decisivi gli investimenti in ricerca e innovazione che, tuttavia, devono essere orientati in modo ben preciso. «Se non si stabilisce come mettere a reddito le conoscenze e le competenze sviluppate – avverte Nicolais – ricerca e innovazione rischiano di ridursi a concetti troppo vaghi. Perciò è fondamentale stabilire gli obiettivi da centrare attraverso due attività che sono e restano indispensabili per lo sviluppo del Paese». Insomma, ricerca e innovazione non devono essere fini a se stesse ma vanno utilizzate per conseguire dei risultati nei settori ritenuti strategici per il territorio. Un esempio, per la Campania, è sicuramente il comparto aerospaziale: il distretto regionale vanta circa 160 imprese che offrono lavoro direttamente a 12mila persone, senza dimenticare le 48mila impegnate nell’indotto, e producono buona parte del valore aggiunto legato al manifatturiero. La gran parte di queste aziende produce componenti per gli aerei realizzati da colossi come Boeing oppure piccoli velivoli come biposto e charter. Manca, dunque, un aereo destinato al trasporto regionale che sia prodotto interamente “in casa”. Ed è proprio questa la nicchia di mercato che, sfruttando ricerca e innovazione, potrebbe garantire l’ulteriore crescita del comparto aerospaziale campano: «Competere con Boeing sarebbe velleitario – osserva Nicolais – Invece, producendo un velivolo che sia evoluzione dell’Atr che ha decretato il successo dell’attuale Leonardo, le industrie campane potrebbero ritagliarsi uno spazio importante. E qui sarebbe fondamentale il contributo di chi studia, di chi progetta, di chi produce materialmente e di chi vende. Così ricerca e innovazione creano concretamente sviluppo». Altri settori sui quali puntare sono l’agroalimentare e quello relativo alle tecnologie di trasformazione. Nel primo caso, investimenti in ricerca e innovazione sarebbero necessari per modernizzare e ampliare la produzione di eccellenze made in Italy, come vino e mozzarella, da destinare a mercati di alta qualità. Nel secondo, invece, l’obiettivo è quello di far sì che le imprese puntino su tecnologia e digitalizzazione per offrire prodotti di qualità a prezzi competitivi. In altre parole, Nicolais sostiene la necessità di un piano per l’industria 5.0 coordinato da una cabina di regia composta dai titolari dei ministeri interessati e da un ristretto numero di esperti. «La prima cosa da fare sarebbe una feroce selezione dei settori sui quali puntare – aggiunge l’ex ministro – tenendo conto delle industrie già attive sui vari territori e coinvolgendo le imprese. Dopodiché servirebbero massicci finanziamenti all’università, chiamata a svolgere attività di ricerca e innovazione a sostegno dello sviluppo dei settori giudicati strategici e a formare i giovani chiamati a intervenire in questo processo di cambiamento». I soldi ci sono? Stavolta sì e si tratta dei 209 miliardi assegnati all’Italia dal Recovery Fund e ai quali potrebbero aggiungersi presto altri fondi straordinari. E poi ci sono sempre i fondi strutturali, quelli che l’Unione europea mette a disposizione tramite le Regioni e che le stesse Regioni sono spesso incapaci di spendere nei tempi previsti e in misura consistente. È il caso della Campania che, dati del Ministero delle Finanze alla mano, negli ultimi anni è riuscita a spendere soltanto un quarto delle risorse assegnate dall’Ue tramite il Fondo sociale europeo e il Fondo europeo di sviluppo rurale. «La Campania dispone di un’eccellente materia prima, cioè di giovani entusiasti e preparati – conclude Nicolais – La nostra regione non può permettersi di perdere certe risorse. Perciò è indispensabile un piano che attragga aziende straniere ad alto contenuto di conoscenze sul nostro territorio e consenta ai giovani di non emigrare. Così gli investimenti in ricerca e sviluppo acquistano un senso pieno e vero».