Salario minimo, l’audizione di Alleanza delle cooperative: servono garanzie sulla rappresentanza e maggiori controlli

Quello del salario minimo è un tema assolutamente rilevante, anche alla luce della direttiva europea approvata, che però non impone all’Italia di adottare un salario minimo per legge. L’Alleanza delle cooperative condivide in termini generali l’obiettivo di determinare livelli minimi di retribuzione dignitosi per i lavoratori, ma va raggiunto mettendo al centro i contratti collettivi nazionali “leader”. Questa la posizione dell’associazione in merito alla possibile introduzione di una soglia retributiva minima a livello nazionale, espressa oggi in commissione Lavoro della Camera da Sabina Valentini, Capo servizio sindacale e giuslavoristico di Confcooperative, nell’ambito dell’esame delle proposte di legge C. 141 di Nicola Fratoianni (AVS) e abbinate. 

“Siamo convinti che il principio della centralità del ccnl leader vada sostenuto e praticato e che all’interno di questo principio rientri il trattamento economico minimo. Quindi non è un salario minimo definito per legge che genera trattamenti equi e dignitosi, ma i contratti collettivi. Peraltro ricordiamo che nel 2008, attraverso l’articolo 7, comma 4, della legge 31 (Milleproroghe), insieme all’allora governo e insieme a CGIL CISL e UIL, il legislatore ha imposto l’applicazione solo per i nostri soci lavoratori dei trattamenti minimi contrattuali previsti dalla contrattazione leader. Il passaggio non è irrilevante: è vero che è circoscritto ai soci lavoratori, ma secondo noi questo fu un embrione di una misura su un minimo salariale previsto da contratto che potrebbe essere applicata erga omnes. Noi auspichiamo infatti che l’obbligo di imporre minimi salariali tramite la contrattazione collettiva venga allargato anche ai lavoratori dipendenti, e non solo ai soci, ed esteso il più possibile”.

“La Corte Costituzionale ha ribadito che l’articolo 7, comma 4, della legge 31/2008, riconosce meglio di altre fonti la capacità della contrattazione collettiva di recepire l’andamento delle dinamiche retributive nei settori in cui operano le imprese. Perciò noi siamo fortemente convinti che sia compito della contrattazione leader definire il salario minimo valido per tutti nel settore di riferimento. La contrattazione è l’autorità salariale, fino a oggi lo è stata, e noi auspichiamo che continui a esserlo“.

“Bisogna incentivare i controlli e la vigilanza, altrimenti nessun minimo ha senso: non è affatto detto che se introducessimo una soglia per legge otterremmo dei risultati, perché gli stessi soggetti che oggi sfruttano il lavoro non applicando la contrattazione collettiva leader, non applicherebbero il salario minimo per legge. Abbiamo l’impressione che un salario minimo per legge potrebbe diventare illusorio”.

“Il tema di fondo è certamente la misurazione della rappresentanza sindacale. Si può continuare a parlare di salario minimo legale o non legale, ma se non si mette mano al concetto di misurare la rappresentanza che determina gli attori negoziali che stipulano contrattazione leader, non ne usciremo. Auspichiamo che si affronti anche questo tema”.

Ci preoccupa infine che un salario minimo per legge potrebbe determinare anche qualche fuga dai contratti collettivi nazionali applicati, i quali garantiscono un trattamento economico minimo che è formato da tante voci, non solo dal minimo orario, e che lo rendono non solo più sostanziale ma anche più equo: permessi retribuiti, ferie, mensilità aggiuntive, tutto questo fa parte del trattamento economico minimo. Tutte garanzie per i lavoratori da cui un salario minimo per legge potrebbe indurre alcune imprese a scappare. È chiaro dunque che il tema è far applicare il contratto collettivo, e su questo invochiamo una maggiore vigilanza, nel nostro preciso interesse”.

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