SERVONO I PROGETTI, NON SOLO LE IDEE PER OTTENERE LE RISORSE EUROPEE

SERVONO I PROGETTI, NON SOLO LE IDEE PER OTTENERE LE RISORSE EUROPEE

In queste settimane il dibattito si è molto concentrato sulla questione del Recovery fund, il fondo europeo che consentirà all’Italia di accedere a risorse comunitarie per circa 173 miliardi di euro. Una quota verrà assegnata sotto forma di prestiti a lunghissimo termine, una quota attraverso aiuti cosiddetti a fondo perduto. Risorse che naturalmente si aggiungono a quelle previste dagli ordinari fondi di bilancio, ai 50 miliardi che la Cassa Depositi potrà investire, agli incentivi che il governo ha messo in campo per reagire alla crisi, agli investimenti che società partecipate dallo Stato, come Enel o Eni, Snam, Fincantieri, Leonardo o Ferrovie dello Stato. Un ingente patrimonio sul quale poter pensare di accelerare, anzi di rianimare un’economia stremata dalla crisi pandemica e dal crollo delle aspettative. Risorse ingenti, appunto. Per le quali però l’Italia rischia di giocare una partita di rimessa, non di visione. Gli Stati Generali potrebbero servire a questo, a patto che siano riunioni operative, e che non si trasformino in una sfilata di manager, ministri e sottosegretari. Prendiamo il caso dei Fondi europei di sviluppo regionale, sempre previsti dall’Ue. Per molti anni il nostro Paese ha perso occasioni per la sua congenita mancanza di progettazione, disciplina delle idee, coordinamento tra pubblico e privato, fastidio verso il monitoraggio. E qui veniamo ad un punto delicato: lo schema degli amministratori pubblici, per come sono costruite le norme, è più o meno questo: prima prendiamo i soldi e poi pensiamo ai progetti da realizzare. E’ per questo che spesso in questi lunghi anni sono sfumate possibilità di investimento e di crescita, di fondi mai spesi o spesi per progetti diversi da quelli inizialmente decisi. Qui è diverso, lo schema del Recovery fund è invertito: prima i vediamo progetti, poi arriveranno i soldi. Ed è qui che serve uno sforzo straordinario, in tempi brevi. Uno sforzo fatto di intelligenze, di istituzioni, di pubblico e privato. Di scelte. Il governatore della Banca d’Italia, Ignazio Visco nelle sue considerazioni Finali ha tracciato un percorso: serve uno sforzo straordinario di progettazione e di tecnica. In molti in queste settimane hanno delineato la necessitò di un paese più digitale. Vero. Però per ottenere qui fondi bisognerà spiegare alla Commissione come. Con quali progetti, con quali investimenti, con quali tecnologie, a partire dal 5G, l’internet superveloce. Ecco, quella può essere una buona base di partenza. Lo schema per le gare delle licenze indicava per le società il vincolo di progettare mobilità, sanità, educazione mettendo insieme imprese, grandi e piccole, Università, partner tecnologici, istituzioni. Ecco, che il governo stili un elenco di cinque cose da fare, qualcuno verrà lasciato fuori ma almeno quei fondi saranno utili. Altrimenti il copione della lamentela andrà in onda, senza visione. Dall’esperienza di gestione di progetti complessi c’è molto da imparare in relazione all’esistenza di “condizioni abilitanti”, le decisioni ed i piani necessari per poter procedere speditamente. Un altro insegnamento riguarda cosa si fa con i soldi e cosa si fa con le norme. Sono stati creati mercati per le imprese con norme di regolazione, con standard produttivi, con incentivi ai privati. D’altra parte, sarebbe urgente in Italia occuparsi di indirizzare il risparmio sempre di più verso l’economia reale. Il tema della capacità di progettazione è cruciale: bisogna avere la capacità di immaginare come funzioneranno i meccanismi operativi fino a completamento dei progetti da finanziare, non solo fare un primo schizzo su un foglio di carta. Arrivare a quello che per le opere corrisponde alle progettazioni esecutive, oppure inserire in una cornice organica e coerente quello che è già pronto per partire. Il tempo infatti è una variabile decisiva in questa fase. I primi effetti di questo grande piano devono manifestarsi in tempi brevi, pur tenendo un orizzonte di medio termine. La situazione di emergenza consente l’adozione di semplificazioni inimmaginabili, efficaci a patto di avere chiari gli obiettivi finali. Vanno superate le artificiose divisioni di competenze (per non dire quelle tra appartenenze politiche). Un dato: a sei anni dalla partenza dei fondi strutturali europei 2014-2020 l’Italia è riuscita non spenderne il 71%, circa 38 miliardi persi. Come dire: i soldi ci sono, senza progetti si perdono o si dirottano verso obiettivi diversi da quelli iniziali vanificando gli iniziali obiettivi di sviluppo. La macchina dello Stato è disegnata sulla base di uno schema novecentesco, il Ministero dell’Economia, il ministero dello Sviluppo, il ministero dell’Ambiente, il ministero della Pubblica Amministrazione. Lo schema è impossibile da mutare, ma sicuramente per poter accedere a quei fondi sarà necessario che molti muri di competenze trasversali cadano. Perché, come ha detto Visco, o si lavora tutti insieme o non si va da nessuna parte. Nicola Saldutti
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