SIMONE GAMBERINI È IL NUOVO PRESIDENTE DI LEGACOOP NAZIONALE. Eletto per acclamazione dalla Direzione nominata dal 41° Congresso dell’organizzazione, Gamberini succede a Lusetti

“La nostra scommessa è generare quotidianamente efficienza e solidarietà; rimettere la cooperazione, protagonista dell’economia sociale, al centro dell’agenda politica ed economica del Paese”.

È Simone Gamberini il nuovo Presidente di Legacoop Nazionale. Lo ha eletto per acclamazione la Direzione nominata dal 41° Congresso dell’organizzazione cooperativa. Gamberini succede a Mauro Lusetti, che era stato eletto nel maggio del 2014.

Bolognese, 49 anni, dal 2020 Direttore generale di Coopfond, il Fondo mutualistico di Legacoop, Gamberini negli anni precedenti è stato Direttore di Legacoop Bologna e, dal 2004 al 2014, Sindaco di Casalecchio di Reno.

Su proposta di Gamberini, la Direzione ha eletto vicepresidenti Attilio Dadda, presidente di Legacoop Lombardia e membro del board dell’International Cooperative Alliance e Eleonora Vanni, presidente Legacoopsociali. La Direzione ha inoltre approvato la proposta di Gamberini di affidare a Gianluigi Granero, già direttore Area promozione e Workers Buyout di Coopfond, l’incarico di direttore Legacoop. Franco Mognato è stato confermato nell’incarico di amministratore.

“La sfida decisiva per la cooperativa”, ha sottolineato Gamberini nel suo intervento, “riguarda la propria identità distintiva, la vocazione a tenere insieme interessi individuali di socie e soci e quelli collettivi delle cooperative e delle comunità, per rispondere a bisogni di uguaglianza e di tutela delle persone più deboli. Con la scommessa di sempre: generare quotidianamente efficienza e solidarietà, continuare l’esercizio della funzione sociale che ci è stata affidata dalla Costituzione e contribuire a ricostruire un nuovo ascensore sociale, che deve garantire un altro rapporto tra qualità della vita e qualità del lavoro, ridurre gli attuali gap di genere e generazione e favorire pari opportunità di partecipazione e crescita per tutti. In questi termini, il movimento cooperativo può partecipare da vero protagonista e da attore dell’economia sociale di stampo europeo. Rimettendo la cooperazione al centro dell’agenda politica ed economica del Paese, candidandoci a rappresentare un’opportunità per la sua crescita inclusiva e sostenibile”.

“In concreto”, ha spiegato Gamberini, “questo significa candidarsi ad essere attori della transizione ecologica e della sostenibilità, con le nostre filiere dell’agroalimentare, i processi di economia circolare cooperativa, le eccellenze in tema di riuso e riciclo, i processi di rigenerazione urbana, sociale e culturale. Attori della transizione energetica, con una decisa azione di promozione di comunità energetiche rinnovabili in forma cooperativa; di riduzione dei consumi energetici; di organizzazione in cooperativa dei consumatori e dei produttori di energie rinnovabili.  Come attori della transizione digitale, che vogliamo democratica e mutualistica, valorizzando le sperimentazioni di piattaforme digitali cooperative per diffonderle su larga scala e dimensione, proponendo il mutualismo digitale, essenziale per il futuro della cooperazione, ma anche per la società nel suo complesso”.

Altro tema centrale dell’impegno dell’organizzazione nei prossimi anni, quello del lavoro. “Vogliamo garantire a chi lavora nelle nostre cooperative”, ha sottolineato Gamberini, “un lavoro dignitoso, ben pagato, nel pieno rispetto dei CCNL. E questo chiama direttamente in causa la responsabilità del settore pubblico, con il quale molte nostre cooperative lavorano: è inaccettabile che questo generi lavoro povero, ricorrendo ad appalti al massimo ribasso più o meno mascherato. Se l’inflazione si stabilizzerà su tassi superiori al passato, va messo un limite invalicabile. Un servizio non può diminuire in valore reale, ma dovrà essere adeguato all’inflazione e agli aumenti contrattuali. Solo così si potrà competere veramente sulla qualità del servizio e non più sul ribasso dei costi, scaricandolo sui lavoratori. Noi non possiamo limitarci a dire che il mercato non consente condizioni migliori; vogliamo invece impegnarci per promuovere un nuovo partenariato tra pubblico, privato e privato sociale. Un partenariato ‘solidale‘ che non veda nella concorrenza l’unica pietra angolare nei rapporti tra pubblica amministrazione e imprese, ma che assegni un valore essenziale alla fiducia reciproca, alla legalità, alla correttezza, alla trasparenza. Occorre, insomma, affermare una prassi di co-programmazione e di co-progettazione che consenta di garantire servizi di qualità senza comprimere i diritti dei lavoratori.

Simone Gamberini – Biografia sintetica

Simone Gamberini dal gennaio 2020 è Direttore generale di Coopfond spa, Fondo mutualistico di Legacoop.

Dal 1994 si occupa della promozione di cooperative nel settore delle Industrie Culturali e Creative.

Dopo una esperienza amministrativa in qualità di Sindaco del Comune di Casalecchio di Reno (2004-2014), rientra nel modo cooperativo per occuparsi dei progetti di innovazione e trasformazione Digitale delle imprese cooperative.

Dal giugno 2008 al luglio 2021 è stato presidente dell’Istituto nazionale per lo studio e il controllo dei tumori e delle malattie ambientali “B. Ramazzini”.

Nel 2015 è nominato Direttore generale di Legacoop Bologna ed è coordinatore del Progetto Biennale dell’Economia Cooperativa. Coordina e promuove i progetti Coopstartup Bologna e Going Digital Legacoop. È Vicepresidente di Cooperare spa e membro del Cda di Coop Alleanza 3.0.

 

DI SEGUITO IL TESTO INTEGRALE DELLA RELAZIONE DI SIMONE GAMBERINI

Grazie a tutti coloro che in questi giorni hanno reso possibile questo congresso.

Care cooperatrici e cooperatori,

mi ha sempre affascinato questo incipit, mi ha sempre dato l’impressione di essere parte di un qualcosa di più grande, una storia fatta di persone, dignità del lavoro, interesse collettivo e per la comunità.

Una grande comunità costantemente al lavoro per costruire una economia e una società più giusta.

Care cooperatrici e cooperatori… lo abbiamo ripetuto tante volte in questi ultimi due mesi, durante gli oltre 25 congressi territoriali e settoriali con migliaia di soci e cooperative, in un percorso che, ne sono convinto, fa bene alle organizzazioni.

È un percorso democratico, faticoso ma necessario, per ritrovarsi, discutere, e scegliere i nostri organismi dirigenti.

In tutti i congressi territoriali è riecheggiata con forza la parola PACE.

Abbiamo scelto nella giornata di ieri di aprire il nostro congresso con l’intervento dell’ambasciatore della Repubblica Ucraina

E’ trascorso ormai un anno dall’inizio dell’aggressione della Federazione Russa all’Ucraina.

Sosteniamo con forza la volontà di resistere del popolo ucraino e, al tempo stesso, di fronte ai morti dell’una e dell’altra parte, chiediamo che si intensifichino gli sforzi per giungere a una tregua e a una vera trattativa di pace.

La guerra di aggressione all’Ucraina ci ha poi ricordato drammaticamente quanto siano fragili gli equilibri in Europa e nel mondo, riportando all’attualità il pericolo di un conflitto nucleare devastante per l’umanità.

Quella che rischia di essere travolta da questo sconquasso storico è la democrazia.

La democrazia liberale, le sue regole, i valori, le istituzioni, e le sue libertà.

Viviamo una “radicalizzazione” delle democrazie, evidente pure dai comportamenti elettorali nei paesi europei, Italia in primis.

Deve prevalere, invece, una visione del mondo multilaterale; una Unione Europea autonoma, a cui affidare la politica estera e di difesa comune; una visione basata su rinnovati accordi che tutelino la libera circolazione di merci e persone; una forte regolazione dei mercati, e in particolare dei grandi soggetti globali che ormai pesano più di molti stati, condizionano l’economia e le istituzioni, e indeboliscono democrazia.

La superiorità delle democrazie non va data per scontata e non può essere solo declamata.

Va affermata quotidianamente nella pratica della politica e delle relazioni sociali.

VA RIAFFERMATO CON FORZA IL VALORE DELLA PACE

E’ in questa dimensione che si colloca il movimento cooperativo italiano

Tornando al nostro Congresso

Alcuni hanno definito i congressi come “vecchie liturgie”. Ma è un rito stanco solo per chi non ne capisce il senso fondativo della nostra capacità rigenerarci, sempre: è un moto costante nei 150 anni della nostra storia.

Affronto questo congresso con il peso della responsabilità che incombe sul candidato “Unitario”, e non “unico” come a volte sbagliando sono stato definito.

“Unitario” perché frutto di un percorso di condivisione unitaria dei documenti

 e del progetto.

Un percorso che ha individuato nella mia persona, e ne sono onorato, la figura che potrà guidare l’Organizzazione e dare forma a un progetto necessariamente collettivo.

E dire che sono diventato cooperatore quasi per caso…

Con altri ragazzi gestivo un circolo ARCI a Bologna, volevamo sviluppare nuove attività e al terzo sfratto non avevamo una sede… stavamo per rinunciare alla sfida.

Volevamo dimostrare che era possibile gestire uno spazio culturale libero senza aderire alla strada più facile delle occupazioni…

Gli uffici nella casa del popolo confinavano con quelli di un pensionato che ne curava l’amministrazione, un uomo distinto e rigoroso ma sempre sorridente, che ci ascoltava con curiosità.

Una mattina quell’uomo ci disse “Ragazzi se posso darvi un consiglio… perché non costituite una cooperativa? Conosco il mondo della cooperazione e vi posso dare una mano a trovare un socio sovventore”.

Cooperativa? Socio sovventore? Non avevamo capito molto, ma l’uomo ci ispirava fiducia e prospettava un’idea del nostro futuro assolutamente originale.

Luciano Calanchi diventò la nostra guida in un percorso che mi ha portato a essere socio, Presidente e poi dirigente del movimento cooperativo.

Penso di essere stato fortunato a incontrare nel mio percorso tanti dirigenti cooperativi come Calanchi che mi hanno insegnato l’etica della responsabilità, la salvaguardia del patrimonio intergenerazionale, la sobrietà e il valore dei principi cooperativi.

Cooperatori ai quali ogni dirigente cooperativo, io per primo, dovrebbe ispirarsi per evitare di omologarci.

E di rischio di omologazione all’impresa privata abbiamo parlato molto in questo congresso. Potrebbe sembrare paradossale parlarne proprio quando il capitalismo estrattivo si è dimostrato insostenibile.

Ma questa è anche la natura della sfida che abbiamo di fronte: diventare la parte migliore del sistema mainstream oppure proporre una visione diversa di sviluppo con al centro persone, inclusione, equità e interesse generale.

Gli anni che ci separano dal Congresso del 2019 sono stati intensi, sorprendenti e difficili: un film proiettato a velocità quadrupla rispetto alla vecchia normalità.

Ripercorriamolo per fotogrammi:

  • La de-globalizzazione, la solidarietà tra nazioni di fronte alla pandemia, il Next Generation UE, il PNRR, la guerra in Ucraina, l’impennata di materie prime ed energia, inflazione e tassi di interesse elevati.
  • Il Governo gialloverde, giallorosso, Draghi, i partiti che passano dal 3 al 30% e viceversa in pochi anni. Le elezioni regionali dell’astensionismo. La prima Presidente del Consiglio donna e la destra al Governo.
  • La pandemia: il coprifuoco, le mascherine, i convogli di bare, la corsa ai vaccini, i no-vax, il timoroso ritorno alla libertà, l’assalto squadrista alla Cgil, la crescita dell’occupazione e la carenza di lavoratori, i lavoratori poveri e il reddito di cittadinanza, le grandi dimissioni.
  • L’Italia prima in ginocchio e poi campione di export e crescita; l’Italia che vince gli europei e salta i mondiali; i figli di immigrati che diventano italiani solo se vincono medaglie olimpiche; l’Italia seconda manifattura d’Europa, ma fragile, indebitata e anziana.

Una corsa di primi piani in un film di Cronemberg

vista però dalla prima fila del cinema.

Fotogrammi che descrivono fenomeni e tendenze di lungo corso che trasformano il pianeta, la società, l’economia:

  • La crisi climatica;
  • La pervasività dell’innovazione tecnologica e l’avvento dell’intelligenza artificiale;
  • La crescita delle diseguaglianze, la crisi delle democrazie;
  • La situazione demografica allarmante di un paese anziano in cui i decessi superano le nascite.

Un’epoca di transizione permanente in cui sembra impossibile programmare il futuro anche prossimo…

L’unica certezza sembra il perdurare dell’incertezza, tanto che molti media hanno individuato come parola dell’anno 2022 il termine perma-crisi: crisi permanente.

In tempi come questi è naturale fare riferimento alle parole di Ivano Barberini, che di fronte alle incertezze ci spronava “a interrogare i principi cooperativi e restare coerenti con i valori della cooperazione”.

Garantiva che tale esercizio ci avrebbe portati sulla strada giusta: e noi crediamo ancora a Barberini.

Queste sfide epocali non si affrontano con strumenti ordinari: pretendono nuove visioni culturali e sociali.

La sfida decisiva per la cooperativa riguarda la propria identità distintiva, la vocazione a tenere insieme interessi individuali di socie e soci e quelli collettivi delle cooperative e delle comunità, per rispondere a bisogni di uguaglianza e di tutela delle persone più deboli.

La scommessa è sempre la stessa: generare quotidianamente efficienza e solidarietà.

Questa sfida è stata raccolta dalla Alleanza Internazionale delle Cooperative (ICA), che ha lanciato dal Congresso di Seoul del 2022 una consultazione sui valori e i principi cooperativi. È una iniziativa importante per cogliere la dimensione internazionale della cooperazione come agente di cambiamento su scala globale.

Il nostro Congresso è stato il momento per fornire un contributo alla consultazione dell’ICA; e grazie a sette territori, e ad Attilio Dadda, abbiamo animato una riflessione che ci ha consegnato una mandato preciso:

dobbiamo ripartire dai principi cooperativi, interpretandoli nel nuovo millennio, non per riscriverli ma per aggiornarli e riaffermarli con forza.

Cooperative, soci, leaders e staff, condividono i valori cooperativi e ne sono guidati; per questo vi invito ad approfondirli nelle nostre cooperative e a cercare nuovi modi per diffonderli.

Democrazia, solidarietà, onestà, non sono astrazioni ma segnano il nostro agire quotidiano.

I valori ci posizionano: chi come noi crede nella fratellanza,

che cosa prova di fronte al dramma dei morti di Cutro?

Noi non abbiamo dubbi: i valori ci indicano la cosa giusta da fare, ogni giorno.

Siamo un movimento di donne e uomini che da oltre un secolo promuove una visione globale più alta di civiltà.

E anche per superare eventuali incoerenze e dimenticanze, nell’agenda del prossimo mandato metteremo la costruzione dei codici di autoregolamentazione necessari per dare concretezza alla nostra identità.

Dopo la crisi del 2008, si aprì un dibattito al nostro interno sullo scollamento del movimento cooperativo dalla missione originaria, proprio mentre la rendita da capitale stava vincendo la partita contro il mondo del lavoro.

È ora di tornare a quelle riflessioni, partendo dalla consapevolezza che nelle cooperative convivono diverse anime: quella imprenditoriale e quella sociale.

Siamo fatti di numeri e anche di parole.

Le parole esprimono pensieri e relazioni che danno senso allo stare insieme. Sono il rapporto con i soci e con il territorio, le parole costituiscono i nostri legami.

I numeri sono la solidità dell’impresa, i suoi fondamentali economici.

Ma i numeri, da soli, non generano lo sviluppo e la solidità della cooperativa.

Senza le parole e la volontà di vivere un interesse e un pensiero più alto, il nostro mondo non si rafforza.

Da noi, parole e legami generano i numeri. Non il contrario.

Nel 2008, Barberini, nel suo intervento all’Università di Bologna al conferimento della sua Laurea honoris causa, volle parlare proprio del rischio di omologazione.

Ci disse che: “Perdere la propria identità è il dato più negativo, perché vuol dire smarrire sé stessi e non poter più essere riconosciuti”.

E La cooperazione è stata forte quando ha trasmesso l’idea di una società più giusta, ha dato voce agli ultimi e li ha resi protagonisti del proprio riscatto.

PAUSA….. DISUGUALIANZE

Quindici anni di crisi, ci hanno consegnato una società nella quale le disuguaglianze economiche, territoriali e fra generazioni sono esplose.

Rabbia, sfiducia, paura, e le “insopportazioni”, come le ha definite il CENSIS, sono negli italiani di oggi anche il risultato di decenni di indecisioni della politica.

La politica dei palazzi, ma anche dei corpi intermedi, spesso corporativi e ripiegati su sé stessi, come giustamente sottolinea il documento congressuale.

Si diffonde la povertà, arretra il ceto medio e incrementano i divari in termini di lavoro, reddito, salute, istruzione, e condizioni generali di vita.

Le diseguaglianze investono le categorie più esposte: giovani, donne, migranti, persone svantaggiate, aree interne e periferie urbane.

Eppure noi sappiamo che tali persone e comunità sono portatrici di energie e di alte professionalità, capacità generative e trasformative.

Specialmente in seguito alla pandemia, però, sono emerse spinte verso visioni e pratiche di mutualismo e “neo- mutualismo”, soprattutto tra le fasce più giovani.

Sono la reazione all’incapacità dell’economia globale di risolvere i problemi dei ceti  minacciati dalla decrescita e dai drammatici fenomeni che ci è toccato vivere.

Questi concetti sono visti in modo sempre più concreto e reale piuttosto che in senso ideale o addirittura utopistico: mutualismo e cooperazione sono associati a un’economia basata su aiuto reciproco, interessi e beni collettivi.

Cresce quindi un bisogno di imprese che diffondano nel mercato una visione generativa più ampia e coinvolgente: più bene comune e beni pubblici, meno lucro e speculazione.

Queste idee, sono le nostre idee.

E se crescono tali orientamenti nella società, noi dobbiamo fare la nostra parte per incontrarli: dobbiamo dare noi le soluzioni necessarie.

Dobbiamo capire in fretta le cause della nostra scarsa attrattività e trovare modi efficaci per intercettare  i nuovi bisogni che la società ci pone e dare risposte pronte.

Oggi, il punto non è più capire se il mutualismo regge o meno alla prova del mercato, ma saperlo spiegare e renderlo evidente a tutte e tutti.

Dobbiamo costruire le condizioni – istituzionali, legislative, economiche, e soprattutto culturali -, che permettano di rispondere alla “domanda di mutualismo” con la forma cooperativa.

E allora apriamo il cantiere del prossimo mandato.

Questo mio intervento chiude idealmente il dibattito congressuale.

Il rischio in occasione dei Congressi è l’approccio routinario e la partecipazione senza passione, ma in questi giorni non è stato così.

Abbiamo affermato un modello di associazione inclusiva, in ascolto dei cooperatori, e interlocutore credibile delle istituzioni e degli stakeholder.

Non è un mestiere facile nel contesto in cui viviamo; come non è semplice interpretare da Organizzazione di rappresentanza i cambiamenti della società.

Le disuguaglianze hanno diversi pesi e impatti nel rapporto tra Nord e Sud del Paese e speriamo non siano acuite dal processo di “autonomia differenziata”.

In proposito, le premesse non inducono all’ottimismo leggendo il disegno di legge in discussione. Attendiamo con attenzione la discussione parlamentare. Già oggi nella stessa maggioranza si ventila che la riforma resterà in Parlamento, anche per la oggettiva difficoltà nel definire i livelli essenziali di prestazione e trovare le risorse per garantirli ovunque.

Insomma, in questi termini sembra solamente un altro mattone all’edificio della sfiducia dei cittadini verso la politica.

L’aspetto che a me piace meno però è un altro; vi sono evidenti disparità di trattamento tra Regioni sull’erogazione dei servizi essenziali per il vivere civile. Pensate ai livelli di spesa pro-capite nei servizi sociali – anziani, minori, famiglie, disabili – 256 euro a Bologna e 53 euro a Vibo Valentia; vi sarebbe un evidente peggioramento di tali disparità con questa riforma.

Eppure, coloro che la promuovono sostengono che non fanno altro che applicare la Costituzione, cioè l’articolo 116, che prevede appunto ulteriori autonomie.

Tuttavia, essi dimenticano, forse, che la Costituzione è composta da altri articoli che tutelano i diritti a salute, istruzione, servizi essenziali ai cittadini, e che quindi debbono essere erogati con logica unitaria e di pari trattamento.

Da qui bisogna partire.

Quindi, prima di pensare a rafforzare l’autonomia, è bene che i Governi pensino a ridurre i divari tra Regioni, e che queste ultime si assumano responsabilità nella gestione dei servizi.

Diseguaglianze e fratture sociali non sono fenomeni contingenti, ma strutturali; esigono politiche non di emergenza, ma di ampio orizzonte.

Nell’ultimo quindicennio, invece, abbiamo assistito a politiche tra loro incoerenti che devono essere superate, come dice il documento congressuale, con “il concorso di risorse, idee e valori che sono fuori dalla portata dei soli meccanismi governati da Stato e mercato”.

Occorrono visioni, soggetti e politiche che promuovano un nuovo modello di crescita, sviluppo e inclusione sociale.

Qui sta lo spazio e la sfida che abbiamo di fronte come movimento cooperativo: continuare l’esercizio della funzione sociale che ci è stata affidata dalla Costituzione e contribuire a ricostruire un nuovo ascensore sociale.

Il nuovo ascensore deve garantire un altro rapporto tra qualità della vita e qualità del lavoro. Deve ridurre gli attuali gap di genere e generazione e – più in generale – favorire pari opportunità di partecipazione e crescita per tutti.

Deve, anche, avere la capacità di favorire lo “scambio dei ruoli” tra lavoratore e imprenditore.

È indicativa la scelta di dimettersi da parte di 1,6 milioni di lavoratori, nei primi 9 mesi del 2022, per cercare un lavoro meglio retribuito o riuscire a conciliare i tempi lavorativi con le esigenze familiari.

Infine, deve essere un ascensore che tuteli gli utenti e i consumatori nella qualità dei prodotti e nel rispetto dei dati personali.

In questi termini, il movimento cooperativo può partecipare da vero protagonista e da attore dell’economia sociale di stampo europeo.

Rimettendo la Cooperazione al centro dell’agenda politica ed economica del Paese. Candidandoci ad essere una opportunità per la sua crescita inclusiva e sostenibile.

Costruendo e rinnovando le necessarie alleanze.

Abbiamo bisogno di guardare anche fuori dal nostro perimetro tradizionale e creare rapporti con il vasto mondo di imprese dell’economia sociale;

Occorre mantenere saldi legami:

  • con le organizzazioni del lavoro, per rinnovare il mercato del lavoro e per promuovere sempre di più wbo;
  • con le organizzazioni della piccola e media impresa;
  • e con il mondo delle professioni, anch’esso terreno per sviluppare nuova cooperazione.

In generale, con tutti i corpi intermedi per rinnovare una vitalità democratica, per ricostruire progetti di interesse comune.

Stiamo già operando quotidianamente in tal senso.

Lo facciamo con l’azione delle cooperative sociali, e promuovendo cooperative di comunità, comunità energetiche in forma cooperativa, cooperative di housing sociale, dove l’interesse generale e la soddisfazione della comunità, coesistono con lo scopo mutualistico.

Le stesse operazioni di wbo, sono espressione di un’attenzione al bene comune, perché tessuto e know-how imprenditoriale ed occupazionale sono un bene comune della comunità.

Lo stiamo già facendo, inoltre, aumentando l’attenzione verso i più giovani, con i percorsi di affiancamento e di ricambio generazionale nelle imprese.

Lo stiamo facendo, anche, con il nostro impegno per la parità di genere, le pari opportunità, e i percorsi di sostegno all’imprenditorialità femminile.

Può sembrare una piccola cosa, ma l’uso della schwa in tutti i materiali di questo nostro congresso testimonia l’importanza che diamo al tema della parità.

Del resto lo abbiamo visto ieri durante la relazione di Mauro:

questo è un tema aperto – è un tema sentito – è un tema importante: classi dirigenti e pari opportunità sono per noi lo stesso necessario obiettivo. 

La cooperazione nel suo complesso è parte dell’Economia Sociale.

L’articolo 45 della Costituzione parla di “funzione sociale della cooperazione” .

C’è corrispondenza tra funzione sociale della cooperazione e interesse generale, ritenuto oggi in modo semplicistico di esclusiva spettanza del Terzo Settore.

Occorre una ricostruzione del concetto di cooperazione, che deve essere svolta dalle Associazioni di rappresentanza, insieme al mondo accademico e agli altri corpi intermedi, tra i quali – certamente – il Terzo Settore, magari coordinati dalla Fondazione Barberini.

Questa riflessione consentirà di portare all’attenzione di tutti quel che noi sappiamo bene.

L’impatto della cooperazione sulla società e sull’economia, supera ampiamente il solo PIL e il fatturato, e riguarda anche buona occupazione, inclusione e pari opportunità, sostenibilità ambientale, recupero e valorizzazione di lavoratori e di micro e piccoli imprenditori, altrimenti destinati al lavoro nero o grigio, alla disoccupazione o al fallimento.

La lotta alle false imprese, passa anche da come noi riusciremo a misurare il nostro impatto e lo renderemo visibile alle istituzioni e alle comunità.

UNA NUOVA RAPPRESENTANZA QUINDI.

Un cambio di passo per mettere la cooperazione al centro dell’agenda politica del paese.

La nostra rappresentanza trae forza dalla legittimazione sociale che dobbiamo confermare giorno per giorno, con la capacità di rispondere ai bisogni di una società che cambia costantemente.

Con questa consapevolezza collaboreremo con tutte le istituzioni e gli attori sociali che condivideranno i nostri obiettivi.

Anche in dipendenza di ciò è necessario definire un nuovo e più largo sistema di alleanza che, senza disperdere alcun valore creato, rafforzi la nostra capacità di incidere sulle trasformazioni in atto.

L’adesione a Social Economy Europe si aggiunge alle esistenti forme di collaborazione con i mondi del terzo settore e dell’economia sociale.

All’interno di questo scenario, non posso però non soffermarmi per una riflessione sull’Alleanza delle Cooperative Italiane.

Le sfide che Legacoop ha davanti richiedono un’organizzazione competitiva e unitaria, in grado di raggiungere nuovi traguardi nella tutela degli interessi cooperativi, rilanciando i valori della sua identità storica.

Tali sfide non possono essere affrontate da soli.

L’Aci, pur con tutte le sue difficoltà, è una realtà; ma di fronte alle criticità emerse in questi anni, è necessaria una riflessione non più rinviabile.

L’unità organica può rimanere l’obiettivo strategico a cui tendere, ma con onestà dobbiamo individuare obiettivi intermedi spendibili sul piano organizzativo.

Non affrontare il tema non ci aiuta, e anzi rischia di farci fare Nel non agire, qualche passo indietro.

Con pazienza e franchezza, nei prossimi mesi, insieme agli amici di Confcooperative e AGCI dovremo riaprire il cantiere dell’Aci per costruire su nuove basi le ragioni di un progetto comune, definendo la dimensione organizzativa possibile, le regole condivise, gli ambiti di cessione di rappresentanza, le modalità di coinvolgimento  delle cooperative sulle scelte politiche dell’Alleanza.

Provo ad indicare alcuni impegni di quella che potrebbe essere l’agenda delle imminenti sfide comuni,:

  • un progetto di revisione della legislazione cooperativa in Italia e in Europa;
  • rivendicare la piena attuazione dell’articolo 45 in termini economici oltrechè sociali;
  • promuovere nuova cooperazione;
  • proporre reali strumenti di contrasto alle false cooperative;
  • giungere, infine, a una legge sulla rappresentanza.

Oggi più che mai, il bisogno di rappresentarci uniti è prevalente per non scalfire la nostra forza nella tutela delle associate.

Tutto ciò, anche in presenza di nuove forme di competizione associativa – anche non cooperativa – che aumenterà sempre di più.

Rispetto a ciò, l’Aci in questi anni ha mantenuto un livello di regole condivise e una sorta di «protezione».

Anche in futuro dobbiamo garantirci queste condizioni, ma non possiamo immaginare l’Aci come autoreferenziale e sufficiente.

Abbiamo bisogno di guardare anche fuori e creare rapporti con le imprese che popolano il vasto mondo dell’economia sociale e non.

Dovremo essere uniti nella rappresentanza e autonomi nell’organizzazione.

PAUSA

Mettere, la cooperazione al centro dell’agenda politica, significa affermare con forza che siamo una opportunità per l’Italia, che possiamo essere soggetti attivi delle tante transizioni che viviamo.

Dobbiamo passare dalla “richiesta”, alla “proposta”.

Nei documenti congressuali e nel lavoro di questi mesi, abbiamo fornito analisi, proposte e progetti da offrire al paese.

Oggi per noi lo snodo cruciale, è il Pnrr.

Confermiamo la validità sia dello strumento sia degli obiettivi.

Un anno di lavoro ci ha confermato le difficoltà di spesa della PA, in particolare sui territori.

Il governo ha preso in mano la situazione, di fatto, creando un ministero del PNRR.

Ma per l’assorbimento delle risorse tutto il paese va coinvolto, e la partecipazione delle forze economiche e sociali è una condizione necessaria.

Inoltre, a fronte degli aumenti dei prezzi occorrono adeguamenti realistici per non rendere irrealizzabili le opere.

Il PNRR è per l’Italia l’occasione per ridisegnare un Paese diverso, più giusto ed equo, digitale e green.

In questo scenario, ci candidiamo ad essere:

Attori della transizione Ecologica e della sostenibilità:

  • Con le nostre filiere dell’agroalimentare;
  • Con processi di economia circolare cooperativa;
  • Con le eccellenze in tema di riuso e riciclo;
  • Con processi di rigenerazione urbana, sociale e culturale.

La sostenibilità è nel modello di impresa cooperativa; è una leva per  affrontare le sfide dell’Agenda 2030 e rafforza il nostro ruolo di “attori chiave per la sostenibilità”.

Attori della transizione Energetica

  • con la costruzione delle CER cooperative;
  • con l’impegno delle cooperative di produzione e servizi per la riduzione dei consumi energetici;
  • organizzando in cooperativa i consumatori e i produttori di energie rinnovabili.

Attori della transizione digitale, che deve essere democratica e mutualistica; e deve valorizzare le sperimentazioni di piattaforme digitali cooperative per diffonderle su larga scala e dimensione.

Questa transizione comporta perdita di senso del lavoro, crescita delle diseguaglianze, concentrazione di potere a livello globale.

La nostra risposta dovrà essere il mutualismo digitale, essenziale per il futuro della cooperazione, ma anche per la società nel suo complesso.

Per questo la fondazione PICO ha elaborato un “Manifesto sul neomutualismo digitale”.

Dovremo essere Attori della transizione nel mondo del lavoro

L’impegno di Legacoop nell’interpretazione dei cambiamenti nel mercato del lavoro, è culminato nella pubblicazione del “Manifesto del lavoro cooperativo”.

Tecnologia, precarietà, bassi salari, insicurezza, mancanza di competenze e profili per le cooperative associate.

Stabilità, condivisione, partecipazione e rifiuto del modello gerarchico e della concezione alienante del lavoro nel capitalismo:                                                  

si è diffuso un nuovo immaginario del lavoro, visibile nel fenomeno delle grandi dimissioni.

Su tutti questi aspetti la cooperazione deve avere delle idee chiare; deve fornire soluzioni; e deve proteggere e promuovere i propri soci e collaboratori.

Le cooperative, non solo con la scontata tutela dei diritti acquisiti, ma pure tramite autoimprenditorialità, wbo, imprese tra professionisti, intellettuali e innovatori, devono promuovere una cultura del buon lavoro.

Un’ambiziosa agenda in proposito sarà contenuta nel documento di mandato approvato dal congresso.

Cito solo alcuni titoli: osservatorio sugli appalti, legge sulla rappresentanza, salario minimo orario, formazione e competenze, welfare aziendale e contrattuale, politiche attive del lavoro.

Vi è anche un altro ruolo che dobbiamo giocare fino in fondo, perché questo è il momento e noi abbiamo tutti i numeri a posto per farlo.

Noi dobbiamo promuovere un nuovo partenariato tra pubblico, privato e privato sociale. Un partneriato che definisco “solidale”. 

Oggi il “pubblico” è sempre più malconcio e il mercato ha mostrato la sua avidità.

Se vogliamo dar voce ai nostri soci, non possiamo fermarci a dire che il mercato non consente condizioni migliori.

E’ inaccettabile che il settore pubblico generi lavoro povero.

Rischiamo di rimanere schiacciati tra le ragioni degli Enti appaltanti e le ragioni dei soci che non arrivano a fine mese.

Il messaggio per le amministrazioni, è semplice e chiaro: se gli appalti sono per il 90% costo del lavoro, quando esse “risparmiano”, lo fanno sulla pelle dei lavoratori.

Partiamo da un punto: il livello di efficienza offerto ha ormai raggiunto il limite, mentre è sull’efficacia delle prestazioni e dei servizi che si vedono più difficoltà.

Se l’inflazione si stabilizzerà su tassi superiori al passato, è necessario mettere un limite invalicabile. Un servizio non può diminuire in valore reale, ma dovrà essere adeguato all’inflazione e agli aumenti contrattuali. Solo così si potrà competere veramente sulla qualità del servizio e non più sul ribasso dei costi.

Una battaglia per appalti più giusti non può vedere il sindacato e le cooperative su fronti contrapposti; ma le cooperative e il sindacato devono essere alleati nel rivendicare condizioni più eque da parte degli Enti pubblici.

Per questa via si protegge il lavoro, ma si tutela anche la qualità dei servizi, e quindi il benessere delle comunità.

La concorrenza non è l’unica pietra angolare nei rapporti tra pubblica amministrazione e imprese: la “fiducia” è cruciale.

Fiducia reciproca, legalità, trasparenza e correttezza sono gli ingredienti di un patto solidale tra pubblico, privato e privato sociale.

E noi, anche con le proposte del documento di mandato, ci impegneremo in ogni sede per affermare tale patto solidale.

Inoltre, dovremo essere Attori della rinascita culturale e creativa del Paese

Sono emersi bisogni culturali diversi, oscurati dalla narrazione retorica della cultura come “grande bellezza,”, appannaggio di grandi attrattori.

Il bisogno di una cultura plurale non catalogabile nei 50 codici ATECO del settore; di una cultura di prossimità, radicata nei territori; di una cultura accessibile che alimenta l’attivismo civico.

Per esprimersi, questi bisogni richiedono modelli nuovi e creativi: una risposta cooperativa.

Infine, dovremo essere attori della transizione demografica, per l’affermazione di un nuovo modello di Welfare.

L’epoca della crisi ha colpito la società globale mostrando l’importanza di legami sociali, tessuto di comunità, reti territoriali.

L’antidoto alla solitudine e all’emarginazione è una società in cui le persone e le comunità sono attive e cooperative.

Noi abbiamo un’idea di welfare non riduttiva che interessa in senso ampio la vita delle persone, e supera la sola offerta di assistenza e servizi.

La cooperazione di Legacoop opera sinergie tra filiere e settori, per lavorare al benessere individuale e collettivo, e alla tutela dei beni pubblici.

  • Pensate alla cooperazione di comunità che si integra con la cooperazione sociale e le cooperative di medici;
  • E riguardo ai flussi: nel nostro paese mancano ogni anno circa 300mila lavoratori, usciamo dalla dimensione ideologica sui migranti, la cooperazione si candida a gestire accoglienza e integrazione dei nuovi cittadini del nostro paese.

A giudicare dal disastro prima di tutto civile a cui assistiamo ogni giorno, possiamo essere utili al paese, e pensiamo che la nostra esperienza umana del fenomeno migrazioni sia una risorsa preziosa per tutti.

PER FRONTEGGIARE TUTTE QUESTE SFIDE AVREMO BISOGNO DI UNA ORGANIZZAZIONE SEMPRE PIÙ EFFICIENTE, FLESSIBILE, MODERNA E CREATIVA.

Penso ad una associazione utile:

  • Autonoma, autorevole, libera;
  • garante di principi e governance;
  • attiva in Italia e in Europa;
  • che costruisce alleanze;
  • sostenibile e agile – non ci basta essere resilienti;
  • che interpreta e accompagna nella transizione digitale ed ecologica;
  • che favorisce la collaborazione tra cooperative;
  • che finanzia e progetti strategici;
  • che promuove, startup, comunità, cer, wbo, piattaforme; tra professionisti, tra autonomi, reti, consorzi.
  • che si organizza per filiere non per silos;
  • che favorisce pari opportunità e ricambio generazionale;
  • competente: perché fa rete con centri di ricerca e università;

Una associazione al servizio delle micro e piccole cooperative, migliaia di cellule radicate nelle comunità locali: servono “politiche industriali associative” per sostenerle nella transizione.

Occorre procedere a unificazioni, fusioni, contratti di rete, sviluppo del ruolo dei consorzi; occorrono misure di capitalizzazione ed efficienza degli strumenti finanziari e dei servizi.

Penso a una associazione che traina e promuove i processi di innovazione delle cooperative aderenti, attraverso il potenziamento delle competenze, tramite partnership strategiche con università, centri di ricerca e hub di innovazione.

Legacoop dovrà promuovere azioni di formazione su big data, intelligenza artificiale, blockchain e altri bisogni delle cooperative che vogliono investire nell’innovazione di servizi, prodotti e processi.

Un’efficace ecosistema di open innovation formato da startup, università e centri di ricerca, consentirà alle cooperative di accedere all’innovazione, risparmiando sia tempo sia costi.

Penso a una associazione che stimola il protagonismo delle cooperative e una nuova centralità del socio, e supera la retorica che aleggia su questo tema.

OCCORRE UN NUOVO PATTO ASSOCIATIVO.

Un patto fondato sulla legalità come perno di un mercato e di una società più giusta.

Una cultura della legalità e della trasparenza, lo sviluppo di campagne e sensibilizzazione, la promozione di un grande progetto nazionale per la gestione cooperativa dei beni confiscati e delle aziende sequestrate.

PAUSA

Nel mutato contesto di riferimento, i nuovi bisogni delle cooperative e dei soci impongono, anche attraverso un sano ricambio generazionale, un approccio volto ad un “processo di efficientamento permanente” dell’associazione.

Occorre rigenerare una “classe dirigente” cooperativa che superi il reclutamento senza filtro dei manager dalle imprese capitalistiche.

Dobbiamo formare cooperatrici e cooperatori che siano prodotto e produttori di nuova cultura cooperativa e democratica, che generino valore, sì, ma per distribuirlo oltre l’impresa, ai soci, ai lavoratori, ai fornitori, ai clienti e alla comunità.

Dobbiamo investire su percorsi di formazione innovativa che anche tramite i nuovi strumenti tecnologici interessi e attraversi tutto il nostro movimento innalzando competenze, conoscenze e livelli di autorealizzazione.

Ricambio generazionale, costruzione di una nuova classe dirigente…. sono la punta di un iceberg che sotto il pelo dell’acqua nasconde un problema molto più grande… non si è bloccato solo l’ascensore sociale si è bloccato anche il tradizionale ricambio della base sociale delle nostre cooperative.

In passato i giovani incontravano i valori distintivi della cooperativa perché diffusamente presenti nei contesti sociali, culturali e politici in cui si formavano.

Oggi, invece, è necessario che l’impresa cooperativa vada nei luoghi dove le giovani generazioni hanno cittadinanza. 

Scuole, università, istituti di ricerca, sono solo alcuni dei contesti in cui abbiamo indirizzato la nostra attenzione in questi anni.

Con una positiva scoperta: valori cooperativi di inclusione, sostenibilità, giustizia sociale non solo sono attuali ma sono un criterio di scelta del proprio futuro lavorativo.

Costruiamo dei “ponti generazionali”, perché da un lato dobbiamo garantire la dell’impresa per non pregiudicarne il patrimonio intergenerazionale; ma al contempo abbiamo la responsabilità di far crescere una classe dirigente di nuove cooperatrici e cooperatori.

  • Abbiamo progetti che ogni anno coinvolgono migliaia di giovani; sono l’occasione per aggiornare idee e lessico in costante mutamento,
  • Abbiamo i progetti del servizio civile universale che hanno coinvolto migliaia di giovani sui temi di inclusione sociale, educazione e cultura;
  • Abbiamo l’esperienza di Generazioni che valorizza entusiasmo e competenze di giovani cooperatrici e cooperatori per accompagnarli a ruoli futuri nella loro impresa.

Il tema della partecipazione dei soci alla vita cooperativa non si limita all’ingresso di giovani cooperatori, ma riguarda il rapporto tra management e proprietà. Perché le cooperative sono chiamate a ricercare nuove forme di coinvolgimento dei propri soci.

Il gruppo dirigente che uscirà da questo Congresso avrà il compito di affrontare questi temi senza retorica e con pragmatismo cooperativo.

E dovremo anche riflettere sulla nostra organizzazione.

Intendo dare continuità al piano già avviato di transizione associativa, dal classico modello verticale in logica top-down, verso una forma organizzativa che, anche grazie al digitale, faccia dialogare le strutture associative, e porti i propri servizi a cooperative e soci in ogni parte d’Italia.

Per valutare tale processo e le necessità delle cooperative e dei soci, mi impegno a convocare, entro 12 mesi dall’insediamento della direzione, una conferenza programmatica di organizzazione per meglio cogliere e approfondire, i possibili miglioramenti a cui tendere.

In conclusione:

Una nuova generazione si affaccia alla guida dell’organizzazione e delle cooperative, una condizione non scontata che giustamente Mauro Lusetti ha sottolineato nella sua relazione di apertura.

Permettetemi di ringraziare Rita Ghedini. Siamo rientrati insieme in cooperazione. Abbiamo attraversato momenti difficili e li abbiamo superati grazie alla solidarietà di tanti di voi. Rita: una cooperatrice vera.

E poi Mauro. Siamo diversi, non solo per l’età o perché lui è si Sassuolo e io di Bologna… Veniamo da percorsi, esperienze diverse.

Ma questo non ci ha impedito in questi anni di costruire una metrica comune che ha avuto nel rispetto, nella lealtà, nella condivisione degli obiettivi comuni i suoi tratti distintivi…… in questi mesi di convivenza congressuale forzata in giro per l’Italia è nata una complicità che ha sorpreso entrambi in particolare il portatore sano di disabilità emotiva che è in me…      Ha contribuito a costruire un percorso unitario non scontato e ci consegna una associazione orgogliosa della propria identità, della propria distintività dopo la più grande crisi reputazionale e identitaria della nostra storia.

Siamo ad un passaggio di testimone nella lunga corsa della nostra storia,   è un arrivederci, non è un addio.

Mi piace pensare a oggi, come al momento nel quale idealmente ci sarà il passaggio delle bacchette  fra  direttori  di orchestra un’orchestra nella quale si, c’è qualche solista, ma dove la forza è il collettivo e l’armonia tra tutti i settori dell’orchestra.

Un’orchestra di milioni di soci, di migliaia di cooperative, che cercherà nel suo piccolo di cambiare lo spartito del Paese…

Perché’ siamo l’unica forma di impresa che mette al centro le persone,

l’unica forma di impresa democratica, inclusiva, sostenibile e al servizio dell’interesse comune.

Insomma perché siamo cooperative.

Insieme siamo chiamati a costruire un altro tratto del nostro cammino, orgogliosi tutte e tutti di essere cooperatori.

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