Quella del ddl del governo in materia di valorizzazione del made in Italy è una disciplina importante per le imprese culturali, sia in riferimento alle raccomandazioni comunitarie del 2017 sia in quanto punto di arrivo dopo la sofferenza della pandemia, durante la quale, le disposizioni sui codici Ateco (sono 51 quelli che racchiudono la categoria) hanno stabilito la sopravvivenza o meno di un’impresa, dunque grazie per questa normativa. Così oggi in commissione Cultura della Camera Giovanna Barni, presidente di CulTurMedia Legacoop e in rappresentanza di Alleanza delle cooperative Cultura (accompagnata dall’omologa di Confcooperative, Debora Violi), audita in sede consultiva sul ddl Made in Italy che la commissione Attività produttive esamina in sede referente e in prima lettura.
“Sono necessarie norme sul riconoscimento delle imprese culturali e creative” ha ribadito, perché si tratta di un settore strategico per il futuro dell’Italia; bene l’approccio ecosistemico e non monodimensionale, ha aggiunto, invitando a un’ulteriore riflessione circa l’accesso ai fondi, la semplificazione, la sburocratizzazione e un intervento in materia di partenariato pubblico/privato, fondamentale a suo avviso per “far uscire dal degrado in cui versa una parte del patrimonio culturale italiano”.
“Nessuno è esente da forme illegittime” di lavoro e impresa ha ammesso Barni, ricordando sia le cooperative spurie del settore sia le forme improprie di volontariato – fino ad arrivare al caporalato – che colpiscono il mondo della cultura. La rappresentante della cooperazione ha concluso rispondendo poi a due domande del presidente del gruppo di lavoro, Federico Mollicone (FdI): alla prima, in riferimento agli appalti, Barni ha replicato chiarendo che “occorrono forme partenariali perché il modello concessorio ha fatto il suo tempo. La logica del massimo ribasso che adottano le Pubbliche amministrazioni non tutela il lavoro, il fornitore non ce la fa”. Alla seconda, sul secondary ticketing del Colosseo, la presidente ha spiegato che il tema non è quello dei bot che acquistano ingenti quantità di biglietti, ma dello sfruttamento di migliaia di persone che li comprano (in India, Pakistan etc.) e che i software non sono in grado di fermare. I biglietti vengono rivenduti dai bagarini davanti al Colosseo e questi non vengono mai multati. Occorre, a suo parere, una governance migliore dei flussi turistici.