Vi spiego cosa (non) ha fatto l’Ue contro la crisi. L’analisi del prof. Baldassarri

Vi spiego cosa (non) ha fatto l’Ue contro la crisi. L’analisi del prof. Baldassarri

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Vi spiego cosa (non) ha fatto l’Ue contro la crisi. L’analisi del prof. Baldassarri

Pubblichiamo la seconda puntata del saggio di Mario Baldassarri, economista ed ex viceministro dell’Economia, oggi a capo del Centro studi Economia reale dal titolo “Crisi sanitaria e crisi economica. Mondo, Europa, Italia: Istituzioni e politica economica”. Gli Stati Uniti d’Europa sono utopia – spiega – ma è urgente agire come se già ci fossero

Ad oggi l’Europa non ha fatto tutto ciò che sarebbe necessario, però, forse anche con sorpresa di qualcuno, ha fatto molto:

1.- La Bce con 750 miliardi di quantitative easing fino a fine anno;

2.- Il Mes per 240 miliardi è senza condizioni per le spese sanitarie e fa da canale di accesso all’Omt (Outright Monetary Transactions);

3.- La Bei ha aumentato il capitale per 200 miliardi;

4.- Il Sure (Support to mitigate unemployment risks in emergency) può contare su 100 miliardi.
Per l’Italia questi quattro strumenti significano la possibilità di avere circa 150 miliardi di acquisti di titoli italiani dalla Bce, 36 miliardi dal Mes, circa 40 miliardi dalla Bei e poco meno di 20 miliardi dal Sure. Totale: circa 250 miliardi di euro.

Una opposizione preconcetta a questo “pacchetto europeo” ed a queste risorse per l’Italia appare incomprensibile, a meno che non si nasconda dietro ad essa la volontà di uscire dall’Unione Monetaria e la non volontà a fare in Italia riforme strutturali a partire dalla ristrutturazione del bilancio pubblico. Questa ipotesi ha già avuto i suoi riflessi sullo spread dei nostri titoli decennali che il 21 aprile ha sfiorato i 270 punti verso i Bund tedeschi.

Ma visto che Spagna e Portogallo hanno espresso la loro volontà ad aderire all’accordo europeo, ancor più significato è che lo spread sui titoli italiani si è portato a 116 punti base sui titoli spagnoli ed a 100 sui titoli portoghesi. Va inoltre ricordato che la Bce ha cominciato ad acquistare titoli di stato per 30 miliardi nella prima settimana di aprile, 51 nella seconda e 71 nella terza settimana. Se proseguisse a tranche di 70 miliardi a settimana il plafond di acquisti previsto a 750 miliardi sarebbe esaurito entro metà ottobre e quindi c’è da augurarsi che la Bce prosegua andando ben oltre l’importo inizialmente previsto.

Per di più, i titoli italiani in pro-quota dovrebbero rappresentare il 17% degli acquisti totali. In queste settimane la Bce ne ha comprati per oltre il 40% e qualche altro Paese potrebbe non concordare con questo. Ciò che è stato deciso al Consiglio europeo del 23 aprile somma in totale a 540 miliardi di euro, oltre al Qe della Bce. In Europa servono invece risorse per oltre 2mila miliardi di euro. E tutto dipende da come e quando si troverò l’accordo sul Recovery Fund.

Pesa anche la sentenza della Corte Costituzionale tedesca circa la compatibilità degli accordi europei con la Carta fondamentale della Germania. Ma qui dipende dalla risposta delle istituzioni europee. Paradossalmente la sentenza tedesca potrebbe essere l’occasione per costruire un passo, piccolo ma decisivo, verso una Europa Federale. Ecco perché resta fondamentale il Recovery Fund che però richiede tempi più lunghi perché occorre concordare almeno tre punti fondanti:

1.- A quale bilancio va agganciato (l’attuale bilancio settennale europeo pari all’1% del Pil o ad un bilancio “rafforzato” come detto dalla presidente della Commissione);
2.- Se dovrà essere coperto totalmente (trasferimenti aggiuntivi nazionali o risorse proprie dell’Unione) oppure si potrà accedere ai mercati con emissioni di debito.
3.- A chi farà capo questo debito?

Se il bilancio “rafforzato” fosse coperto da maggiori trasferimenti nazionali, la valutazione da fare è sul peso dei vari contributi nazionali e sulla distribuzione delle risorse tra i vari stati. Come sempre avvenuto ne decenni passati, ci sarebbero quindi Paesi “contributori netti” e “usufruitori netti”.
Se invece si aprisse la opportunità di un deficit con emissione di titoli, il conseguente debito, se fosse in pro-quota, sarebbe debito nazionale aggiuntivo, se fosse invece assegnato all’Unione sarebbe mutualizzato.

Il bilancio europeo potrebbe quindi avere un capitolo di spesa per ripagare il debito che, ad esempio, se fosse di 50 miliardi potrebbe sostenere a 20 anni un debito di mille miliardi, se i miliardi a bilancio fossero 100 si potrebbe sostenere un debito di 2mila miliardi ecc. Il “peso” sui singoli stati sarebbe quindi distribuito in pro-quota seconda i contributi nazionali al bilancio europeo dei singoli stati.

Si tratta cioè di concordare se il Recovery Fund resta un fondo “confederale” o rappresenta un primo passo verso la federazione di stati europei. Si capisce allora che i tempi non potranno essere brevi. Ed è chiaro però che se si partisse a giugno sarebbe un enorme inaspettato successo, se si partisse il prossimo anno sarebbe in grave ritardo e perderebbe quindi la sua efficacia di impatto sulla profonda crisi economica già in atto.

Nell’immediato, sia il Qe della Bce, sia il Mes senza clausole per le spesa sanitarie sia i fondi Bei, sia il Fondo per la disoccupazione devono essere prontamente utilizzati dall’Italia mostrando in contemporanea di saper riformare strutturalmente il proprio bilancio pubblico per essere credibile nella sua partecipazione alla costituzione del Recovery Fund europeo.

E gli Stati Uniti d’Europa sono solo utopia? L’aria che tira sembra dire che gli Stati Unit d’Europa sono oggi una utopia. Ed invece no, sono una estrema urgenza. E almeno per due ragioni: una istituzionale e una geopolitica e geoeconomica.

Prima ragione. Ogni giorno tocchiamo con mano la totale “assenza” o “irrilevanza” dell’Europa su tutti i fronti scottanti del mondo globale. Ebbene, questa Europa-che-non-c’è deriva dall’impotenza genetica di un progetto fondato sull’Europa Intergovernativa che richiede quasi sempre l’unanimità di tutti i 27 Stati membri. Ottenere decisioni unanimi con 27 governi in campo è “statisticamente” impossibile senza neanche ricorrere al teorema di Arrow che, peraltro, dimostra come siano impossibili decisioni democratiche prese a maggioranza, figuriamoci all’unanimità.
Per “decidere” occorre una Federazione, come negli Usa, in Canada, in Germania.

Poi si può discutere delle funzioni da attribuire al governo federale e ai singoli governi nazionali.
Con l’Europa intergovernativa che abbiamo è come se avessimo fatto dell’Italia una Confederazione nella quale il governo Centrale ed il Parlamento Nazionale non possono assumere alcuna decisione senza l’approvazione unanime dei venti governi regionali. E proprio in queste settimane abbiamo vissuto confronti e scontri tra governo centrale e regioni tanto che forse avremo una riapertura delle attività produttive a macchie di leopardo correndo un rischio sulla pelle di tutti laddove questa scelta risultasse prematura e causasse una significativa ripresa dei contagi.

Seconda ragione. Ci sono almeno cinque temi sui quali da oltre venti anni gli Stati europei hanno già perso sovranità nazionale, cioè ogni capacità di decidere come singoli Stati. Anche questi sono sotto gli occhi di tutti ogni giorno. Difesa-Sicurezza-Immigrazione, Politica estera, Grandi reti di infrastrutture con in testa energia (elettricità, gas, petrolio), Alta ricerca ed innovazione tecnologica ivi compresa alta formazione di capitale umano.

Si deve poi aggiungere il tema del controllo della concorrenza nei mercati dei beni e servizi e quello specifico della vigilanza sui mercati finanziari e bancari. Sul primo aspetto occorre una antitrust europea che non sia la sommatoria-ragnatela di 27 antitrust nazionali. Sul secondo aspetto occorre arrivare subito alla vigilanza bancaria europea guidata dalla Bce alla quale è già affidata la politica monetaria e la moneta unica.

Almeno su questi cinque temi il “recupero” di sovranità a livello di singoli Stati nazionali è impossibile. Chi lo propone o è inconsapevole oppure, se consapevole, fa semplicemente una bugiarda operazione di demagogia per raccogliere consenso a breve termine e ottenere, per sé stessi e per i propri cittadini, un risultato di totale irrilevanza a medio-lungo termine.

Basti pensare che viviamo tutti in Europa con 27 eserciti, 27 aereonautiche, 27 marine, oltre 50 servizi segreti (ogni stato ne ha più d’uno). Non controlliamo i confini “esterni” dell’Unione e qualcuno propone di ripristinare i confini “interni” che in chilometri sono almeno sette volte più lunghi. Gas-petrolio-elettricità sono mercati concorrenziali fuori dall’Europa, ma quando si entra in Europa diventano cartelli oligopolistici concentrati all’interno di ogni stato nazionale con cittadini europei (vedi Italia) che pagano bollette del 30% in più rispetto ad altri cittadini europei (vedi Francia) sulle quali poi si aggiungono carichi fiscali che vanno dal 60% al 180% decisi da ogni singolo Stato nazionale.

Noi in Italia abbiamo 354 sedi universitarie, fatichiamo ad avere quattro o cinque università riconosciute a livello internazionale e i nostri giovani se ne vanno all’estero per fare dottorati qualificati e per avere poi prospettive di ricerca e di qualificazione all’altezza dei loro saperi e delle loro potenzialità. E si potrebbe continuare…

Ad oggi il bilancio dell’Unione Europea è pari all’1% del Pil, il bilancio federale degli Stati Uniti è pari al 25% del Pil. Tra l’1% ed il 25% ci sarà pure una via intermedia. E questa non può che essere, per ragioni geopolitiche ma anche per ragioni geoeconomiche, una federazione degli Stati Uniti d’Europa “leggera” basata su quei cinque temi, con un governo federale fatto da un Presidente e cinque ministri, votati dai cittadini e “fiduciati” dal Parlamento europeo.

Senza parlare di nuove tasse europee “proprie ed aggiuntive”, se i soldi che già oggi ogni Stato spende per quei cinque temi/funzioni vengono sommati insieme e vengono attribuiti al bilancio federale europeo, si ottiene qualcosa che è pari a circa il 10/% del Pil, cioè a metà strada tra la situazione attuale europea e quella americana.

Tutto il resto… resta nella mani e nelle competenze dei singoli stati nazionali. Due domande.

1.- Perché non si fa?
Il vero perché non è soltanto “miopia” o “insipienza” politica, ma è prevalentemente dovuto al fatto che chi “controlla” quelle risorse a livello nazionale non intende facilmente “mollare l’osso”.

2.- Chi ci sta?
Il perimetro ideale sarebbe quello dei 19 Paesi dell’euro, visto che hanno già una moneta comune. La necessità e l’urgenza indicano però che la vera risposta coraggiosa è: Chi ci sta, ci sta. Basti pensare che Germania, Francia, Italia, Spagna e Portogallo rappresentano circa il 70% del Pil e dei cittadini europei. Chi ci sta, recupera sovranità e si salva.

Chi non ci sta, può aderire dopo oppure dissolversi sul piano politico, e forse economico e sociale, in questo mondo globale del XXI secolo.
É urgente “rifondare” l’Unione europea dando alla Bce ed al Trattato di Maastricht “due occhi” ciascuno: due ciechi di un occhio non fanno infatti una persona sana.

1.- Lo Statuto della Bce deve includere, insieme al controllo dell’inflazione, quanto meno l’effetto dell’andamento dell’euro sulla crescita economica ed assumere il ruolo di prestatore di ultima istanza.
2.- Maastricht deve diventare “più rigoroso e meno stupido”. Occorre cioè introdurre l’obiettivo dell’avanzo di Parte corrente (che si chiama risparmio pubblico) e per ogni 1% di avanzo corrente (autofinanziamento) consentire 2/3% di investimenti pubblici finanziati parzialmente in deficit.

Una golden rule più rigorosa di quella proposta oltre 40 anni fa da Robert Solow. Si tratta cioè di introdurre una solida leva finanziaria nelle decisioni di politica economica, come fanno le famiglie quando comprano una casa, anticipando un 30% e facendo un mutuo per il 70%, oppure le imprese quando usano i loro profitti per finanziare almeno il 30-40% dei loro investimenti, trovando il resto a prestito sul mercato.

Tutto questo significa dare, con un ritardo di almeno venti anni, un governo alla globalizzazione.
É utopia pensare oggi ad un nuovo G8, però nei “pesi” economici mondiali di fatto c’è già.
É utopia pensare oggi agli Stati Uniti d’Europa, però è urgente agire come se già ci fossero.
Senza questi nuovi ed urgenti assetti “Politico-istituzionali”, l’Europa rischia di “implodere” nello stallo infinito della Confederazione intergovernativa e l’economia mondiale rischia di “esplodere” in nuove, frequenti e sempre più grandi crisi globali.

Ed il corona virusrischia di diventare il detonatore della prossima crisi globale che stiamo già vivendo e che vivremo almeno nei prossimi due o tre anni. Ecco perché…il Re è nudo nel mondo e l’Europa ancora gira con pudiche mutante Confederali.

Indice del saggio: “Crisi sanitaria e crisi e economica. Mondo, Europa, Italia: Istituzioni e politica economica”

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